Quella Cosa in Lombardia
The Thing per la prima edizione del Ground Music Festival, in Franciacorta
Diciamocelo: di festival di jazz e vino – oppure jazz e *inserire prodotto tipico* – ce ne sono ormai più di quanti uno riesca a contare: sono la cosa che oggi sembra funzionare, nella consapevolezza che il concerto in sé non basta più ad attrarre pubblico e finanziamenti da solo. La differenza allora sta, piuttosto, in come si fanno le cose, in come si accettano le regole del gioco e in come le si sovverte, integra, migliora – eventualmente. Così, del resto funziona pure la musica. Il neonato Ground Music Festival, con la direzione artistica del trombettista Gabriele Mitelli, sembra essere partito con il piede giusto. Un bel cartellone “giovane”, eccentrico rispetto alla media dei jazz festival. Una bella location: i vigneti della Franciacorta, a due passi dal lago di Iseo, a breve distanza da Brescia e Bergamo e a distanza non proibitiva da Milano. Buon vino (serve pure quello) e un’atmosfera giusta, con molti addetti ai lavori, musicisti e facce note. Soprattutto, un’atmosfera lontana anni luce dal fighettismo e dalle pose da giovani di città in gita in campagna che l’accoppiata “jazz e vino” potrebbe evocare. A questo concorre, naturalmente, anche la scelta della musica. Il concerto di The Thing all’azienda agricola “Il pendio” – forse l’evento principale dell’edizione 2017 – diventa rapidamente un evento da ricordare proprio perché rompe con tutto quello che ci si potrebbe aspettare da (o si potrebbe temere a) un concerto jazz in un’azienda agricola. Per evitare i cliché, in fondo, basta mettere al centro dell’evento la musica. Il tutto parte con un momento di silenzio, di raccoglimento – per far esaurire i rintocchi di un campanile lontano. Poi, da dopo il tramonto per oltre un’ora, The Thing si dedica esclusivamente a materiale nuovo – che fa presupporre l’arrivo di un disco di altissimo livello (la registrazione è prevista per la settimana prossima, ci spiega Gustafsson a fine serata, e questo era il secondo concerto così costruito). Si parte con due lunghe suite: la prima con un lungo e delicato solo di Paal Nilssen-Love (“delicato” come può essere un solo di Paal Nilssen-Love, naturalmente); la seconda, opera del bassista Ingebrigt Håker Flaten, che si conclude con un’emozionante parte in respirazione circolare di Gustafssonn, insieme agli armonici del contrabbasso. Spicca, naturalmente, il lavoro del leader, che ha deciso di abbandonare il baritono per il tenore: scelta non da poco, che aggiunge colore e profondità, fra momenti più lirici, altri quasi ayleriani, e altri ancora in cui semplicemente Gustafsson suona il tenore con la medesima violenza con cui si applica al baritono. Conclusione con lo splendido tema di “Decision in Paradise” dal repertorio di Frank Lowe. Una location bellissima, con la pianura che si apre alle spalle del palco, e le foto di Luca A. d'Agostino, Jean Pillon, Luciano Rossetti e Maurizio Zorzi esposte letteralmente nella vigna. Il pubblico sparpagliato fra i filari, seduto per terra, in un’atmosfera più da festa campestre o da happening psichedelico che non da festival jazz. Si ascolta sdraiati, con le frequenze basse che fanno quasi vibrare la collina, guardando ora il palco, ora il cielo, con momenti di puro rapimento. Collocare “la cosa” di Gustafsson in mezzo ai filari della Franciacorta, alla fine, si rivela un’idea così meravigliosamente incongrua da essere perfetta. Ground Music Festival prosegue la settimana prossima con il progetto VER (Mitelli, Calcagnile e Mirra), Giancarlo Nino Locatelli e il solo di Rob Mazurek. E con l’augurio che sia la prima di molte edizioni.
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