Premio Parodi 2 | Parodi Factor

Gli Unavantaluna vincono il Premio Parodi 2013

Recensione
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Alla fine è stato l’anno della Sicilia, e un po’ lo si era sospettato da subito. Vincono Unavantaluna e Francesca Incudine: ai primi – nome già noto nel circuito, forti di una carriera quasi decennale – è andato il Premio Parodi vero e proprio, oltre a quello per il miglior testo (a pari merito con la Incudine) e il miglior arrangiamento. La seconda si è aggiudicata il premio della critica, l’altra metà di quello per il testo e il riconoscimento attribuito dai bambini in sala. Rompe l’egemonia isolana solo la catalana Rusò Sala (che si esibiva insieme alla chitarrista sarda Caterinangela Fadda), giunta ad una manciata di punti di distanza dai siciliani (è stata necessaria una seconda votazione per rompere l’ex aequo fra i tre) e aggiudicatasi il Premio Siae e quello per la miglior interpretazione, oltre a quello attribuito dagli altri concorrenti.

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Unavantaluna

Dal momento che non c’è nessun X factor da cercare, la giuria passa le proprie sere a confrontarsi su quali siano i parametri da scegliere per votare. Premiare la canzone? E con quali criteri? Per quanto è ben costruita? E costruita secondo quali parametri? Quelli del pop? Premiare la performance migliore?

Insomma, una canzone non basta. Le canzoni si sbagliano, o si azzeccano. Dietro ci deve essere dell’altro: in alcuni casi si intuisce la ricchezza di un progetto, di una ricerca artistica sulla propria “lingua matrìa” o sulla musica della propria terra. Altrove, è difficile andare oltre e capire chi si ha davanti, o si sospetta che dietro un testo in dialetto ci sia poco altro…

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Francesca Incudine

Alla fine si deve fare una scommessa, e la differenza nelle quote dipende dalle altre due occasioni di ascolto offerte dal palinsesto del Premio: il secondo brano proposto la prima sera – e scelto dagli artisti dal proprio repertorio – e la cover dal repertorio di Andrea Parodi, prevista per la serata del venerdì. Il “Parodi factor” è alla fine è decisivo, e può radicalmente affossare il gradimento nei confronti di alcuni concorrenti, e elevare quello verso altri. Ma, visto il livello medio davvero elevato, dobbiamo rilevare come anche questa regola sia stata contraddetta: la cilentana Alfina Scorza, interprete di una magnifica versione di “Temporadas”, con un arrangiamento ben scritto e meglio suonato, rimane alla fine fuori dai giochi. È lei – almeno secondo le percezioni della giuria – la “medaglia di legno” del Parodi 2013, penalizzata – probabilmente - da un brano troppo “neomelodico” per il contesto del Premio.

Detto del livello alto di tutte le proposte, dal primo giorno si ha avuto l’impressione che gli Unavantaluna emergessero sugli altri concorrenti soprattutto per la qualità della proposta musicale e per un testo (“Isuli” la loro canzone in gara) davvero notevole per la ricerca fonica. Francesca Incudine, dal canto suo, aveva come freccia al suo arco un pezzo “acchiappone” e accattivante, con un testo ben scritto, ben costruito e con una struttura “etno-pop” da manuale: difficile toglierselo dalla testa. Punto debole della cantante-autrice era piuttosto la vocalità, ancora un po’ acerba (ma - siamo convinti – sia destinata a crescere ancora: del suo album Iettavuci, stesso titolo del brano in gara, parleremo sul numero del “giornale della musica” in edicola a inizio dicembre).
Più lenta, invece, la salita della catalana Rusò Sala nei favori della giuria: meno immediato il brano, meno d’impatto l’arrangiamento, limitato due sole chitarre classiche. La giovane cantautrice da Barcellona ha guadagnato punti per una emozionante versione della “Ninna nanna” di Andrea Parodi, durante la seconda serata – dedicata appunto alle “cover” di brani dal repertorio del dedicatario del Premio.

Tutti gli altri apparivano un (mezzo) gradino sotto. Ricordiamo almeno, fra le cose più interessanti, oltre alla citata Alfina Scorza, i piemontesi Tres Cordes (con la voce di Paola Lombardi e la chitarra di Enrico Negro): bello il pezzo in gara (“Tres jorns a Paris”), con un ritornello quasi-farandola a esemplificare un solido rapporto tanto con la lingua quanto con i linguaggi della tradizione occitana; non fortunata la scelta di proporre, come secondo brano, un pezzo in italiano di altro stile. E ancora, i campano-milanesi Canto Antico con una proposta à la Nuova Compagnia di Canto Popolare; i napoletani Damm&Dong, con suggestioni fra l’Africa e Pino Daniele, la siciliana svizzera Dominique (bello il pezzo, anche se troppo Carmen Consoli). Meno a fuoco sono parsi, almeno in un Premio dedicato alla world music, i friulani Jerbasuns e la sarda Sara Marini.

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Antonio Zambujo

A margine, gli ospiti: la voce del portoghese Antonio Zambujo, le corde di Mauro Palmas con il Rigel Quartet e il sax di David Brutti, Baba Sissoko. Tre proposte di livello eccelso – e poco altro da aggiungere. Toccante la performance di Zambujo, soprattutto, con una versione in portoghese di “Sienda” impossibile da dimenticare.

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Baba Sissoko

Che considerazioni si possono trarre dal Premio? Intanto che, viste le oltre 400 domande arrivate alla direzione artistica, i dieci selezionati sono un campione significativo della proposta italiana contemporanea nel campo della “world music”. E, se è così, che la concezione italiana di cosa sia “world music” sta decisamente virando verso un’idea di “canzone d’autore” in lingue minoritarie, prediligendo la scrittura del testo alla ricerca musicale su materiali popolari “altri”. Non che sia necessariamente un bene o un male, né si intenda questo come una critica alle “nuove generazioni” della world music (alle quali mi pregio di far parte, seppur dal versante della critica) a vantaggio di un rimpianto passatista. Piuttosto, mi pare un limite artistico, un precludersi vie di fuga creative e arricchenti per aderire ad un modello – quello sì – spesso datato.

L’auspicio è, in un momento di chiusura di spazi per le musiche popolari in Italia - soprattutto, per quelle “di creazione” - che il Parodi sappia proporsi sempre più come modello positivo, oltre che documentare lo stato dell’arte. Le carte e la qualità per farlo, a partire dalla direzione artistica di Elena Ledda, le ha tutte.
E se il primo obiettivo è riflettere su quello che si fa, senza mai darlo per scontato, senza preclusioni, confrontando opinioni e idee, quello è già raggiunto e superato: e vale anche per noi addetti ai lavori.

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