Novara Jazz, incontri in campagna
La residenza del trio ImproveU + Emanuele Parrini, una nuova produzione per aprire Novara Jazz 2018
Quella delle residenze di Novara Jazz comincia a essere una piacevole tradizione, con uno storico che di anno in anno aumenta e mette in circolo, in Italia e in Europa, produzioni di qualità marchiate Novara – con i dividendi pagati in visibilità del marchio e credito da parte degli artisti (come un «buon karma», scrivevo l’anno scorso a proposito della produzione Ghost Horse, non a caso in giro proprio in questi giorni e alle prese con le registrazioni di un disco).
Quest’anno, con l’ormai consueta curatela di Enrico Bettinello, a insediarsi nel bucolico scenario di Cascina Bullona, agriturismo alle porte del Parco del Ticino non lontano da Magenta (siamo in aperta campagna, ma in realtà Milano è a un breve tragitto di automobile) sono stati quattri musicisti, due italiani e due scandinavi: il trio ImproveU – Silvia Bolognesi (contrabbasso), Linda Fredriksson (sax), Håkon Berre (batteria) – e il violinista Emanuele Parrini.
Il meccanismo è di quelli che i musicisti sognano: tempo e spazio per lavorare su materiali nuovi, con i rumori del lavoro quotidiano (la stalla, il trattore, il via vai del ristorante) a fare da soundscape alla composizione d’insieme e a influenzarne gli esiti – come ha spiegato Silvia Bolognesi, “portavoce” del nuovo progetto. Il quale, nella serata finale, viene presentato in forma di suite, con il pubblico sulle sedie – o su cuscinoni per terra – intorno ai quattro musicisti che si fronteggiano, sotto l’ala di una vecchia stalla. «Abbiamo lavorato» spiega Bolognesi, «partendo da un gioco, e con un feeling che direi disarmante: non sono sempre così fortunati gli incontri. Siamo partiti dalle parole nelle nostre diverse lingue, come si dicono, come suonano. Alcune parole le abbiamo “suonate”, altre proprio “parlate”: la suite di stasera cominciava ad esempio dalla parola “crepitio”».
E c’è infatti almeno una sezione in cui agli incastri degli strumenti si sostituiscono gli incastri fonici, e il tutto parte – in effetti – da un crepitio che passa dalla batteria al contrabbasso percosso con una bacchetta, da una lattina accartocciata al respiro asmatico del sax. Poi la suite prende altre direzioni, emergono temi degli archi, ora distesi ora inquietanti, emergono riff…
Una bella serata per una formula che meriterebbe innumerevoli tentativi di imitazione.
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