Musiche dallo Shah-Name
I percussionisti dello Zarbang Ensemble incontrano il virtuoso di tar Hossein Alizadeh
Recensione
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Sette musicisti possono dar vita a interessanti geometrie variabili, e la musica offerta dai sei percussionisti dello Zarbang Ensemble insieme al virtuoso del tar Hossein Alizadeh mostrano una sapiente lettura delle dinamiche di un concerto. La prima mezz’ora lascia senza fiato: il setar di Alizadeh coltiva con uguale maestria silenzi e pennellate d’autore fino ad incontrare lo zarb di Benham Samani per un dialogo unico quanto a lirismo e precisione. È il turno di Morshed Mehregan: con lo zarb-e zurkhane ed una voce che sa arrivare lontano riprende l’epica persiana affidata da Firdoussi allo Shah-Name (Il Libro dei Re), in un gioco di incastri e di abili crescendo con i cinque compagni dello Zarbang che interpretano l’antica arte dello Zurkhane, sintesi di ritmo, danza, allenamento fisico. Il testimone, per la parte armonico-melodica passa, quindi, al santur di Javid Afsari Rad ed è l’occasione per esplorare l’infinita varietà timbrica dell’ensemble, dai daf al kuze-zarbang, alle percussioni “ospiti” di Hakim Ludin, cangira e cajon in primo piano. Ma il gruppo è altrettanto efficace in formazione ridotta, specie quando lascia spazio al reciproco ascolto fra i tre zarb suonati da Reza e Benham Samani e Pejman Hadadi, impeccabili dal punto di vista tecnico, capaci di sorprendenti soluzioni sonore, ma soprattutto attenti a non anteporre la tecnica al fluire musicale. Il finale vede di nuovo protagonista Alizadeh, con un liuto a sei corde che neppure in questo caso è il tar, e lo Zarbang Ensemble al completo in un abile gioco ad incastri fra momenti di “pieno” e di “vuoto” che lascia carichi di energia dopo oltre due ore di concerto.
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