Mike Stern si diverte
A Sant'Anna Arresi il festival conferma la sua formula vincente, nonostante Irene
Recensione
jazz
"Survivors of the Hurricane" e "Katrina": James Blood Ulmer può pescare dal suo repertorio pezzi che ben si intonano con le circostanze. Causa Irene, diversi musicisti mancano all'appello. Subito dopo Blood Ulmer, il
cartellone di "Ai confini fra Sardegna e jazz", il festival di Sant'Anna
Arresi, prevedeva un duo di Victor Bailey e di Othello Molineaux: Bailey
ebbe il non facile compito di rimpiazzare Jaco Pastorius nei Weather
Report; Molineaux, di Trinidad, è invece un suonatore di steeel drum che
fece parte della Word of Mouth band di Pastorius. E l'edizione 2011, la
ventiseiesima, della rassegna sarda, è dedicata al grande bassista. Ma
Molineaux ha potuto attraversare l'Atlantico solo qualche giorno dopo, in
tempo per una seconda sua esibizione in programma, col quartetto di un
altro rinomato bassista, Jeff Berlin. Nel frattempo il duo
Bailey/Molineaux viene rimpiazzato al volo da un trio Mike Stern/Victor
Bailey/Julius Pastorius: Stern solidarizzò ampiamente con Pastorius, e non
solo musicalmente, salvo riuscire a prendere le distanze dalla tragica
autodistruttività del bassista e a venirne fuori; Julius invece,
convincente batterista, esibitosi nella prima delle dieci serate del
festival con il fratello Felix, bassista, di Pastorius è figlio. Stern era
annunciato in cartellone le due sere seguenti, come guest della band del
bassista Maurizio Rolli e alla testa del proprio quartetto: se mi avessero
detto che avrei ascoltato Stern per tre sere di fila non avrei scommesso
che la terza sera non mi sarei annoiato. E invece no. È vero che per
Stern ho un debole, perchè l'ho visto diverse volte dal vivo col Miles
Davis primi anni Ottanta: a volte di chitarristi all'epoca con Miles ce
n'erano due, l'altro era un musicista del livello di John Scofield, ma
preferivo Stern, più rock. Quando come bis Stern, Bailey e Pastorius fanno
la ninna nanna davisiana “Jean Pierre”, con il basso di Bailey e la
batteria di Pastorius incalzanti e un riff perentorio, proprio nello
spirito di quel Miles di allora, con me vanno a mani basse. Ma, nostalgia
a parte, Stern è un gran mattatore: nel corso di un set, può suonarti con
un approccio jazz, a velocità autostradale, uno standard come “Green
Dolphin Street”, può farti una schitarrata rock, può crearti un'atmosfera
delicata e sognante, può erigerti in una frazione di secondo una muraglia
di suono, o lanciarsi in una sbarazzina scansione funky: tutto con la
massima disinvoltura. Ma, con la sua zazzera da gruppo pop anni Settanta,
soprattutto Stern mostra un entusiasmo contagioso nel fare musica, si
diverte e diverte, non si dà delle arie, e, sorridente e spiritoso, è
estremamente generoso nel valorizzare i musicisti che sono sul palco con
lui, famosi o meno che siano. Con Pastorius junior e con Bailey - che ha
un suono pieno, caldo, molta misura e molto gusto - è delizioso in un
brano impostosi come standard negli anni cinquanta come “Softly As in a
Morning Sunrise”, presa a tempo molto veloce. È adorabile con l'orchestra
pescarese di Rolli, che dieci anni fa realizzò una pregevole - e
impegnativa per il formato big band - operazione discografica dedicata a
Pastorius: fanno brani di quest'ultimo, ma anche di Hendrix - all'insegna
delle radici di Jaco - di Ozzy Osbourne, e un omaggio di Rolli a John
Lewis e a Django Reinhardt.
La sera dopo i musicisti del gruppo di Stern non sono arrivati, sempre causa Irene, ed ecco allora Stern in trio, di nuovo con Bailey e con il batterista messicano che ha suonato con l'orchestra di Rolli, Israel Varela. Bel musicista e bel carattere, Stern, ma il suo merito ce l'ha anche "Ai confini tra Sardegna e jazz": l'atmosfera del festival - niente transenne e servizio d'ordine, niente rigide restrizioni per fotografare, tanto per dire - il clima informale, un filo anarchico, il rapporto immediato col pubblico di piazza del Nuraghe dei musicisti, che puoi trovare al bar a cinquanta metri dal palco e avvicinare senza problemi. Il suo merito certo ce l'hanno anche il mare e la gastronomia sarda, che contribuiscono a rendere più piacevole un mestiere come quello di musicista. Stern, del resto non nuovo a Sant'Anna, non è il primo ad essere messo nella migliore disposizione di spirito da questo festival che coltiva un suo orgoglioso e meritorio anticonformismo. Mi è rimasto impresso - per esempio - un Pat Metheny del 2005, rilassato, disponibile, per nulla star, pronto a mettersi in gioco senza rete - in una memorabile serata - anche con partner per lui non abituali e anche un po' destabilizzanti come il chicagoano Hamid Drake e i sardi Paolo Angeli e Antonello Salis.
La sera dopo i musicisti del gruppo di Stern non sono arrivati, sempre causa Irene, ed ecco allora Stern in trio, di nuovo con Bailey e con il batterista messicano che ha suonato con l'orchestra di Rolli, Israel Varela. Bel musicista e bel carattere, Stern, ma il suo merito ce l'ha anche "Ai confini tra Sardegna e jazz": l'atmosfera del festival - niente transenne e servizio d'ordine, niente rigide restrizioni per fotografare, tanto per dire - il clima informale, un filo anarchico, il rapporto immediato col pubblico di piazza del Nuraghe dei musicisti, che puoi trovare al bar a cinquanta metri dal palco e avvicinare senza problemi. Il suo merito certo ce l'hanno anche il mare e la gastronomia sarda, che contribuiscono a rendere più piacevole un mestiere come quello di musicista. Stern, del resto non nuovo a Sant'Anna, non è il primo ad essere messo nella migliore disposizione di spirito da questo festival che coltiva un suo orgoglioso e meritorio anticonformismo. Mi è rimasto impresso - per esempio - un Pat Metheny del 2005, rilassato, disponibile, per nulla star, pronto a mettersi in gioco senza rete - in una memorabile serata - anche con partner per lui non abituali e anche un po' destabilizzanti come il chicagoano Hamid Drake e i sardi Paolo Angeli e Antonello Salis.
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