Mazurek tra Chicago e Londra
Al Centro d'Arte di Padova Chicago London Underground, con Chad Taylor, Alexander Hawkins e John Edwards insieme a Rob Mazurek
Avete presente le classiche idiosincrasie reciproche tra inglesi e americani? Quelle che hanno alimentato un bel po’ di commedie e satira su ciascun lato dell’Atlantico? La musica dei Chicago London Underground le fa scordare in un battibaleno.
Vero che alla base del quartetto ci sono due solide “coppie”: quella formata da Rob Mazurek (pocket trumpet e elettronica) e Chad Taylor (batteria e m'bira), storica titolare del nucleo Chicago Underground; quella formata dal pianoforte di Alexander Hawkins e dal contrabbasso di John Edwards, colonne del jazz inglese degli ultimi anni, in grado di spaziare dall’improvvisazione più radicale a Mulatu Astatke.
Però una sintonia di pratiche e di energie come quella sentita nel concerto di Padova, che ha concluso la prima parte del ricco programma allestito dal Centro d’Arte, non era scontato ascoltarla nemmeno con tali premesse.
Il quartetto si muove su telepatiche negoziazioni dello spazio improvvisativo: maestro di cerimonie con un sempre più calibrato senso della misura, Mazurek lacera l’aria con frasi semplici e precise, lasciando che sotto i suoi piedi ribolla una brace sempre viva e instabile, governata con sapienza dal drumming intenso di Taylor e da un Edwards che esplora ogni possibilità dello strumento, a cavarne danzanti ronzii.
In questo contesto, il pianismo di Hawkins (che è, con tutta probabilità, uno dei musicisti più significativi dei nostri anni) dispiega tutta la sua originale complessità: il musicista inglese maneggia la tensione come materia viva, la stratifica sulla tastiera con una padronanza stupefacente e ne restituisce agli altri tre una visione prismatica in grado di sollecitare ulteriori colori al quartetto.
È interessante annotare come alcuni tratti tipici dei Chicago Underground trovino nell’incontro con i colleghi britannici un sapore inedito. Un esempio su tutti il momento in cui Taylor utilizza la m'bira, abituale oasi di intima e danzante innocenza folk quasi “doncherryana” nella musica dei Chicagoani, qui viene sapientemente decostruita e spostata verso atmosfere più inquiete, ma non meno affascinanti.
È un flusso unico e magmatico, quello del concerto padovano, con la temperatura che sale rapidamente e che consente la fluidità a ogni materiale sonoro. Il pubblico – sala pienissima – segue quasi in apnea, sciogliendosi alla fine in un calorosissimo applauso premiato da un bis costruito su una classica linea di synth di Mazurek. Serata memorabile.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
Stefano Battaglia e Mirco Mariottini chiudono ParmaJazz Frontiere
Pat Metheny è sempre lui: lo abbiamo ascoltato dal vivo a Madrid
La sessantunesima edizione della rassegna berlinese tra “passato, presente, futuro”