Mass(ive) media
Essere musicisti e impegnati: i Massive Attack in concerto alla Venaria
Recensione
pop
La prima considerazione – dopo l’inizio duro, dedicato al nuovo Heligoland – è che l’immagine del trip hop che avevo in testa vent’anni dopo (vent’anni!!?) Blue Lines si ricostruisce: meno sinuosa, più aggressiva. Dal vivo, lo show dei Massive Attack tocca i suoi vertici con i crescendo elettrico-elettronici, con i bassi ribollenti che – marchio di fabbrica dei bristoliani – rimangono perfettamente up to date in tempi di dubstep e figli.
La seconda riguarda l’uso estetico della politica, l’elemento che al termine del concerto della Venaria rimane più piantato in testa. I Massive non sono un gruppo politico in senso classico; lo è forse il loro sound, cupo e "urbano", ma i loro testi generalmente non trattano temi politici, non fanno proclami sulla Palestina, non perseguono nemmeno (vedi i Radiohead, molto a modo loro le rockstar impegnate degli anni Zero) l’ecosostenibilità a tutti costi. Ma c'è di più: Alberto Campo, dalle pagine di “Repubblica”, ha parlato di un «plusvalore politico», capace di fare dei Massive «qualcosa di più di un buon gruppo musicale». Il trucco è l’uso dello schermo a led dietro il palco, che trasmette ora sequenze ritmiche di luci e colori, ora nude cifre (su “Risingson” scorrono i barili di petrolio versati in mare dalla BP; il reddito medio in Grecia; i mq per persona a Gaza; i morti in Iraq), ora - su “Inertia Creeps” - frammenti di titoli di giornali italiani. Berlusconi, ovviamente. Ma anche “La Santanchè va al mare”, la legge Bavaglio, “Meryl Streep sarà Margaret Thatcher”, e via così. Una specie di blob scritto e sonorizzato, che proprio per gli accostamenti insopportabilmente assurdi assume la potenza del più audace dei messaggi.
Il giochetto – nel tour del novembre scorso – è costato a Del Naja e Daddy G una visitina della polizia, per aver passato “Stefano Cucchi: verità e giustizia”. Quindi l’idea funziona anche troppo bene: forse è uno degli ultimi modi possibili di essere musicisti e impegnati. Se si pensa all’Italia, poi, dove – ottenebrati da decenni di dibattiti su Cuba e “intillimanismo” di maniera – ascoltiamo ormai con inconfessabile disagio le sparate di un Sepe, o il rullante in levare del combat folk… Tutto dei Massive, in quest’ottica, diventa politico: il messaggio, lo stesso medium maxischermo, silenzioso e spersonalizzato, così come è politico un gruppo senza frontman, dalle molte voci (non solo su disco: alla Venaria ci sono la bravissima Martina Topley-Bird, Horace Andy…). L’impegno è un plusvalore, estetico e semantico, che fa – ad esempio – di “Inertia Creeps” un sussurrato inno di protesta: Moving up slowly....
La seconda riguarda l’uso estetico della politica, l’elemento che al termine del concerto della Venaria rimane più piantato in testa. I Massive non sono un gruppo politico in senso classico; lo è forse il loro sound, cupo e "urbano", ma i loro testi generalmente non trattano temi politici, non fanno proclami sulla Palestina, non perseguono nemmeno (vedi i Radiohead, molto a modo loro le rockstar impegnate degli anni Zero) l’ecosostenibilità a tutti costi. Ma c'è di più: Alberto Campo, dalle pagine di “Repubblica”, ha parlato di un «plusvalore politico», capace di fare dei Massive «qualcosa di più di un buon gruppo musicale». Il trucco è l’uso dello schermo a led dietro il palco, che trasmette ora sequenze ritmiche di luci e colori, ora nude cifre (su “Risingson” scorrono i barili di petrolio versati in mare dalla BP; il reddito medio in Grecia; i mq per persona a Gaza; i morti in Iraq), ora - su “Inertia Creeps” - frammenti di titoli di giornali italiani. Berlusconi, ovviamente. Ma anche “La Santanchè va al mare”, la legge Bavaglio, “Meryl Streep sarà Margaret Thatcher”, e via così. Una specie di blob scritto e sonorizzato, che proprio per gli accostamenti insopportabilmente assurdi assume la potenza del più audace dei messaggi.
Il giochetto – nel tour del novembre scorso – è costato a Del Naja e Daddy G una visitina della polizia, per aver passato “Stefano Cucchi: verità e giustizia”. Quindi l’idea funziona anche troppo bene: forse è uno degli ultimi modi possibili di essere musicisti e impegnati. Se si pensa all’Italia, poi, dove – ottenebrati da decenni di dibattiti su Cuba e “intillimanismo” di maniera – ascoltiamo ormai con inconfessabile disagio le sparate di un Sepe, o il rullante in levare del combat folk… Tutto dei Massive, in quest’ottica, diventa politico: il messaggio, lo stesso medium maxischermo, silenzioso e spersonalizzato, così come è politico un gruppo senza frontman, dalle molte voci (non solo su disco: alla Venaria ci sono la bravissima Martina Topley-Bird, Horace Andy…). L’impegno è un plusvalore, estetico e semantico, che fa – ad esempio – di “Inertia Creeps” un sussurrato inno di protesta: Moving up slowly....
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