Loungezak per paranoici
I Tuxedomoon al ritorno a Bologna
Recensione
pop
Il rock ha più di cinquant’anni, e molti dicono che non li porti troppo bene. Ma ormai ha una storia lunga abbastanza per essere riconsiderata e ripercorsa a piacimento, e la scorsa settimana a Bologna se ne è sfogliata una pagina. A Bologna, dove quel pezzo di storia in parte era stato scritto più di trent'anni fa. I Tuxedomoon (all’ennesima reunion) sono infatti tornati nella città dove nel 1980 era iniziato il loro primo tour europeo, dopo gli esordi a San Francisco avvenuto all’interno degli spettacoli degli Angels of Light, una compagnia di artisti eccentrici e stravaganti fautori della sperimentazione artistica. I loro sono spettacoli totali, multimediali, caratteristica che i Tuxedo faranno propria e non abbandoneranno più.
Come appare la loro musica a tanta distanza? Intanto, è la stessa di quei giorni lontani, il repertorio è basato in gran parte sui brani dei primi anni Ottanta, e "Nazca", "Nervous Guy", "Time to Lose", "Seeding the Clouds" non hanno perso il loro tratto deviante. Musica perfetta per il disincantato mondo della controcultura post-punk, che soprattutto in Europa ha segnato l’orizzonte di un’intera generazione. Il basso insieme marziale e sghembo di Peter Principle, le melodie minimaliste e i fraseggi allucinati che escono dal sax di Steven Brown e dalla tromba di Luc Van Lieshout, il violino e la chitarra acidi di Blaine Raininger innestati su essenziali beats robotici di una drum machine: tutto teso alla ricerca di qualcosa che all’epoca non era mai stato ascoltato. Scavando, lavorando sempre per sottrazione, fino a scarnificare il suono e ridurlo a una estrema essenzialità. All’opposto dell’attitudine progressive che aveva caratterizzato i Settanta e che il punk spazza via in maniera definitiva. Il tempo passa e macina tutto, le utopie degli anni Sessanta e Settanta sono liquidate e all’inizio degli anni Ottanta la controcultura ritaglia per sé un ruolo segregato e residuale. Quella che i Tuxedomoon ancora propongono è loungezak, “musica da sottofondo per gente New Wave in crisi esistenziale”, per usare le parole dello stesso Peter Principle.
La Lady di ferro e l’ex cowboy hanno ormai innescato una contro-rivoluzione che segna ancora la storia del presente. La musica più innovativa e inquieta della cultura rock si fa cupa e introspettiva, carica di umori neri e paranoici.
Come appare la loro musica a tanta distanza? Intanto, è la stessa di quei giorni lontani, il repertorio è basato in gran parte sui brani dei primi anni Ottanta, e "Nazca", "Nervous Guy", "Time to Lose", "Seeding the Clouds" non hanno perso il loro tratto deviante. Musica perfetta per il disincantato mondo della controcultura post-punk, che soprattutto in Europa ha segnato l’orizzonte di un’intera generazione. Il basso insieme marziale e sghembo di Peter Principle, le melodie minimaliste e i fraseggi allucinati che escono dal sax di Steven Brown e dalla tromba di Luc Van Lieshout, il violino e la chitarra acidi di Blaine Raininger innestati su essenziali beats robotici di una drum machine: tutto teso alla ricerca di qualcosa che all’epoca non era mai stato ascoltato. Scavando, lavorando sempre per sottrazione, fino a scarnificare il suono e ridurlo a una estrema essenzialità. All’opposto dell’attitudine progressive che aveva caratterizzato i Settanta e che il punk spazza via in maniera definitiva. Il tempo passa e macina tutto, le utopie degli anni Sessanta e Settanta sono liquidate e all’inizio degli anni Ottanta la controcultura ritaglia per sé un ruolo segregato e residuale. Quella che i Tuxedomoon ancora propongono è loungezak, “musica da sottofondo per gente New Wave in crisi esistenziale”, per usare le parole dello stesso Peter Principle.
La Lady di ferro e l’ex cowboy hanno ormai innescato una contro-rivoluzione che segna ancora la storia del presente. La musica più innovativa e inquieta della cultura rock si fa cupa e introspettiva, carica di umori neri e paranoici.
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