L'io di Lateef
A Milano la prima di due date italiane per il novantaduenne fiatista
Recensione
jazz
Sarà stato l'inizio straniante a cui è seguito un lungo canto atavico dal sapore blues. Sarà stato il contrasto con l'adrenalina dell'Inside Jazz Quartet, il quartetto di Tino Tracanna, Massimo Colombo, Attilio Zanchi e Tommaso Bradascio - allargato per l'occasione alla mirabile tromba di Jim Rotondi - che ha aperto la serata scatenando gli entusiasmi della platea. Ma il pubblico del Teatro Dal Verme, approfittando del buio in sala, si defilava alla spicciolata e, a fine concerto, in pochi sono rimasti ad applaudire il polistrumentista novantaduenne Yusef Lateef, leggenda del jazz e antesignano della world music, in duo con il percussionista Adam Rudolph. Una musica, quella di Lateef, che non accarezza certo l'ascoltatore per il verso del pelo, con i suoi tempi infiniti, il carattere ipnotico, l'ampio ricorso al rumore, la rinuncia a temi e armonie. Ma tutto questo, più che un carattere provocatorio, sembra assumere le forme di un processo di distillazione, una ricerca interiore, lontano da stilemi e formule preconfezionate. Un percorso intrappreso più di quarant'anni fa, quando Lateef ha cominciato a elaborare e diffondere i precetti della musica "autophysiopsychic", una forma di espressione che apre le porte al vero io del musicista, combinando le conoscenze teoriche con il vissuto personale in una particolare sintesi tra corpo, mente e spirito. Tuttavia questo non sembra aver fatto breccia nel pragmatismo del pubblico milanese che alla fine di ogni brano sgattaiolava silenziosamente verso le uscite. Ed è un vero peccato perché l'apice del concerto si è raggiunto proprio nel finale, con Rudolph al pianoforte e Lateef al flauto in un'interpretazione dai richiami debussiani piena di pathos e mistero. Una perla per pochi.
Note: Seconda data italiana: Teatro Colosseo, Torino, 22 ottobre.
Interpreti: Yusef Lateef: sassofono, flauti, oboe, pianoforte, voce; Adam Rudolph: percussioni, pianoforte.
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