L'energia di Omar Sosa
diario dell'8 luglio
Recensione
jazz
A Muravera questa mattina c’è la luce dei giorni caldi nonostante siano ancora le nove del mattino. Ci siamo arrivati questa notte da Ulassai per poter guadagnare un po’ di strada per Cagliari.
La sera del concerto di Orani l’amico Franco Niffoi mi ha presentato Giancarlo Todde che con la moglie Martina ha costruito la “Residenza Petrera” nel centro di Muravera, il paese del Maestro Luigi Lai, il più grande suonatore vivente di Launeddas.
Una nostra chiamata è valsa due stanze per la notte e noi siamo i primi ad avere abitato quel bel luogo appena costruito con gusto e con materiali pregiati e autoctoni.
Giancarlo non sembra e non parla come un costruttore e si vede dal senso estetico e architettonico che si porta appresso. Tutto è curatissimo e ogni stanza ha un ampio balcone dal quale si vede San Vito, Villaputzu e il mare. Più che un costruttore infatti è un restauratore di luoghi speciali che raccontano la storia della Sardegna e ora tutto mi è chiaro.
“Siamo lontani dagli itinerari turistici ma ce la faremo lo stesso” dice Martina, domandando cosa a nostro avviso manca ancora per migliorare gli ambienti. Gli dico che c’è proprio tutto e che non manca niente. “Forse qualche opera d’arte alle pareti”, aggiungo ma mi rendo conto che i quindici appartamenti sono stati conclusi da venti giorni e che non c’è una cosa fuori posto.
Guadagnare un po’ di strada dalla notte è per poter essere al Campus di Sa Illetta, il centro direzionare di Tiscali, entro le 10.30 del mattino per una chat in diretta dal loro portale. Stare lì dà l’impressione di essere in un formicaio logico e organizzato. Mille persone che vi lavorano, più o meno tutte sarde, in un grande stabile fatto a sezioni squadrate e disegnato dallo studio di Aldo Rossi che ha utilizzato solo materiali locali.
L’intervento di Michelangelo Pistoletto con le sue scritte sui grandi portali e sulle panchine in pietra dà alla grande struttura un’aria austera e creativa e il suo concept fa parte di un "Site specific project" per l'arte contemporanea che ospita opere di altri artisti di fama internazionale quali Costantino Nivola, Pinuccio Sciola, Olafur Eliasson, Alberto Garutti, Grazia Toderi, Maria Lai. Il progetto del Campus si basa infatti sul concetto di "imprenditoria illuminata" che integra gli spazi lavorativi con opere di arte e cultura contemporanea per la costante fruizione delle stesse sia da parte dei dipendenti dell'azienda che degli abitanti del territorio occupato. A fianco c’è una costruzione bianca che ricorda il Pentagono. E’ lì che ci sono le terminazioni informatiche del server di Tiscali. Lì, davanti al mare, come a voler dimostrare quanto l’isola abbia non solo bisogno di salparlo ma quanto sia necessario superare il gap dell’insularità attraverso il nuovo rapporto memoria-tecnologia-comunicazione-sviluppo. Ci accoglie Renato Soru in persona che sembra un dipendente come tutti. Al bar del campus ci offre un caffè tra le foto di Cartier-Bresson e parliamo di “!50” e di quello che sta accadendo in Sardegna. Gli chiedo in quanto tempo è stato costruito quel luogo e mi risponde che è stato fatto in soli 18 mesi. Conoscendolo non avevo dubbi! La chat dura un’ora e rispondo in diretta alle varie domande degli internauti. Pranziamo in mensa e andiamo via tra i profumi della lavanda e del timo con alcuni gabbiani enormi che volano sopra gli ulivi bassi e gli alberi di fico.
A Settimo San Pietro ieri sera c’era il mondo. Quando siamo arrivati nel piazzale della chiesetta campestre di San Pietro l’atmosfera era surreale. Quaranta gradi all’ombra dove l’unica ombra erano gli alberi di fico che hanno fatto da quinta al concerto in duo con il pianista cubano Omar Sosa. Lo spazio immenso e brullo che uno non se lo aspetta alle porte di Cagliari. Perché a Settimo ci arrivi dalla Statale 554 e poi ti trovi in un luogo altro tra “lolle” campidanesi e chiese del 1400. Quelli del comitato di San Pietro vegliano sulla chiesa perché non si sa mai. Gli altri si danno da fare per una serata che attende gente. I primi sono seduti sotto un altro fico che fa da sentinella al portone della chiesa e i secondi girano indaffarati con camion che trasportano qualsiasi cosa. L’idea originale era di fare il concerto nella cava poco lontana dalla chiesetta ma poi ci siamo resi conto che la gente sta diventando troppa e che la pietra della cava avrebbe rilasciato di sera il caldo immagazzinato di giorno ed oggi è veramente caldo.
A mezzogiorno è stato preparato un pranzo luculliano nella Scuola dell’Infanzia e i ragazzi del nostro team sono entusiasti e al posto della mia sedia me ne fanno trovare una gialla da bambino e la sera al microfono ringrazio tutti per ospitalità magnifica. Un signore mi dice che non possiamo cambiarci in chiesa. “Si tratta giusto di mettere un pantalone” gli dico e poi ho fatto il chierichetto per molti anni. “Niente da fare” e aggiunge “non per lei, ma per quell’altro” e ora capisco. Omar porta cento collane con ossi e amuleti e una testa rasata con un ciuffo rivolto verso il cielo perché lui è religioso più di tutti noi messi assieme ma il tipo del comitato non lo sa e non sa che il suo Dio è uguale al nostro e che da loro, a Cuba, nudi o vestiti è uguale.
Settimo si raccoglie attorno a noi. La cena è bellissima, quasi commovente, e Omar non crede ai suoi occhi. Antipasto di terra, grandi malloreddus fatti a mano con sugo di salsiccia che servono da un grande lavabo in pietra, salsiccia alla griglia servita in un ‘conculu’ di sughero con foglie di mirto. Vino nero di Settimo e Malvasia fredda per un vassoio di dolci tipici che sono così belli che ti viene il magone a mangiarli. Con noi cenano i volontari della Protezione Civile comunale, le Misericordie di Sinnai e Settimo, quelli dell’Associazione “Terra Terra”, i responsabili del “Mus-e” locale che mi fanno vedere il lavoro fatto con grandi e piccoli e del quale io sono in Presidente onorario e le maestre della Scuola dell’infanzia di via Sinnai che a pranzo hanno rifocillato i ragazzi del nostro team. Con Omar ci cambiamo in quel posto e lui si veste di bianco con una lunga blusa e un pantalone sostenuto da una stringa rossa come la sua religione che attinge dai culti sincretici del Centro e Sudamerica di derivazione Yoruba. Religione che sa di Santèria e di Candomblé e che si ripercuote prepotentemente nel suo linguaggio musicale e nel suo approccio con la spiritualità della musica e della vita.
Prima di metterci in macchina diamo vita al rito dello scambio dell’energia tenendoci per mano per qualche minuto in silenzio e lontani da tutto e da tutti. Le prime volte questa prassi mi sembrava bizzarra ma ora la sento anche un po’ mia e mi fa stare bene con me stesso e con lui con il quale devo condividere il palcoscenico che questa notte a Settimo San Pietro non c’è. Il rosso dei fanali delle macchine che cercano parcheggio si perde a vista d’occhio e la gente è veramente tanta ma tutti sono li, seduti per terra ad attendere in religioso silenzio. Abbiamo scritto giusto qualche idea per l’inizio. Un brano in Do minore e poi uno in Re minore dove lui lancerà dei sampler che sanno di Africa e di Sudamerica. Poi il suo “Angustia” e i miei “S’Inguldu” e “Nenia” per passare successivamente a “Nenè la Kanou” e “Luz en el cielo”. A maggio abbiamo registrato un cd che uscirà a gennaio per la mia etichetta TÇ”k Music ma decidiamo di non suonare il nuovo materiale e di andare sul già conosciuto. Stasera è tutto troppo forte per metterci problemi di repertorio e di forma. Il bis sarà “Under african Skies” di Paul Simon dedicato al cielo di quel luogo magico che ci regala due stelle cadenti.
La gente si accalca per chiedere autografi e foto davanti alla porta della piccola chiesetta e una gentile signora si improvvisa bodyguard non facendo passare nessuno fino a quando non usciamo. “Non fatemi arrabbiare che stasera era troppo bello” dice con tono risoluto e tutti le danno retta. Scherzosamente le chiedo se non abbia voglia e tempo di venire in tour con noi per i prossimi 23 concerti che mancano al 31 luglio. Omar è esterrefatto da tutto. Dalla quantità di gente, dal calore del pubblico, dai visi con gli occhi lucidi, dal colore del tetto e dei fichi illuminati da Franceschino Carta. “Siempre locos” dice, “feliz compleano Paolo”. Ripone il suo lumicino rosso e la statuina nella borsa e saluta tutti come che lì ci sia stato da sempre e forse è vero e lui non lo sa. “Organizzazione perfetta” dico al Sindaco Costantino Palmas andando via che si è fatto tardi. Hanno offerto da bere e da mangiare a tutti ed eravamo tre o quattromila. Sacro e profano che si incontrano, nell’Isola del vento. Tra Santéria, musica, stelle, cibo e microchip.
Guadagnare un po’ di strada dalla notte è per poter essere al Campus di Sa Illetta, il centro direzionare di Tiscali, entro le 10.30 del mattino per una chat in diretta dal loro portale. Stare lì dà l’impressione di essere in un formicaio logico e organizzato. Mille persone che vi lavorano, più o meno tutte sarde, in un grande stabile fatto a sezioni squadrate e disegnato dallo studio di Aldo Rossi che ha utilizzato solo materiali locali.
L’intervento di Michelangelo Pistoletto con le sue scritte sui grandi portali e sulle panchine in pietra dà alla grande struttura un’aria austera e creativa e il suo concept fa parte di un "Site specific project" per l'arte contemporanea che ospita opere di altri artisti di fama internazionale quali Costantino Nivola, Pinuccio Sciola, Olafur Eliasson, Alberto Garutti, Grazia Toderi, Maria Lai. Il progetto del Campus si basa infatti sul concetto di "imprenditoria illuminata" che integra gli spazi lavorativi con opere di arte e cultura contemporanea per la costante fruizione delle stesse sia da parte dei dipendenti dell'azienda che degli abitanti del territorio occupato. A fianco c’è una costruzione bianca che ricorda il Pentagono. E’ lì che ci sono le terminazioni informatiche del server di Tiscali. Lì, davanti al mare, come a voler dimostrare quanto l’isola abbia non solo bisogno di salparlo ma quanto sia necessario superare il gap dell’insularità attraverso il nuovo rapporto memoria-tecnologia-comunicazione-sviluppo. Ci accoglie Renato Soru in persona che sembra un dipendente come tutti. Al bar del campus ci offre un caffè tra le foto di Cartier-Bresson e parliamo di “!50” e di quello che sta accadendo in Sardegna. Gli chiedo in quanto tempo è stato costruito quel luogo e mi risponde che è stato fatto in soli 18 mesi. Conoscendolo non avevo dubbi! La chat dura un’ora e rispondo in diretta alle varie domande degli internauti. Pranziamo in mensa e andiamo via tra i profumi della lavanda e del timo con alcuni gabbiani enormi che volano sopra gli ulivi bassi e gli alberi di fico.
A Settimo San Pietro ieri sera c’era il mondo. Quando siamo arrivati nel piazzale della chiesetta campestre di San Pietro l’atmosfera era surreale. Quaranta gradi all’ombra dove l’unica ombra erano gli alberi di fico che hanno fatto da quinta al concerto in duo con il pianista cubano Omar Sosa. Lo spazio immenso e brullo che uno non se lo aspetta alle porte di Cagliari. Perché a Settimo ci arrivi dalla Statale 554 e poi ti trovi in un luogo altro tra “lolle” campidanesi e chiese del 1400. Quelli del comitato di San Pietro vegliano sulla chiesa perché non si sa mai. Gli altri si danno da fare per una serata che attende gente. I primi sono seduti sotto un altro fico che fa da sentinella al portone della chiesa e i secondi girano indaffarati con camion che trasportano qualsiasi cosa. L’idea originale era di fare il concerto nella cava poco lontana dalla chiesetta ma poi ci siamo resi conto che la gente sta diventando troppa e che la pietra della cava avrebbe rilasciato di sera il caldo immagazzinato di giorno ed oggi è veramente caldo.
A mezzogiorno è stato preparato un pranzo luculliano nella Scuola dell’Infanzia e i ragazzi del nostro team sono entusiasti e al posto della mia sedia me ne fanno trovare una gialla da bambino e la sera al microfono ringrazio tutti per ospitalità magnifica. Un signore mi dice che non possiamo cambiarci in chiesa. “Si tratta giusto di mettere un pantalone” gli dico e poi ho fatto il chierichetto per molti anni. “Niente da fare” e aggiunge “non per lei, ma per quell’altro” e ora capisco. Omar porta cento collane con ossi e amuleti e una testa rasata con un ciuffo rivolto verso il cielo perché lui è religioso più di tutti noi messi assieme ma il tipo del comitato non lo sa e non sa che il suo Dio è uguale al nostro e che da loro, a Cuba, nudi o vestiti è uguale.
Settimo si raccoglie attorno a noi. La cena è bellissima, quasi commovente, e Omar non crede ai suoi occhi. Antipasto di terra, grandi malloreddus fatti a mano con sugo di salsiccia che servono da un grande lavabo in pietra, salsiccia alla griglia servita in un ‘conculu’ di sughero con foglie di mirto. Vino nero di Settimo e Malvasia fredda per un vassoio di dolci tipici che sono così belli che ti viene il magone a mangiarli. Con noi cenano i volontari della Protezione Civile comunale, le Misericordie di Sinnai e Settimo, quelli dell’Associazione “Terra Terra”, i responsabili del “Mus-e” locale che mi fanno vedere il lavoro fatto con grandi e piccoli e del quale io sono in Presidente onorario e le maestre della Scuola dell’infanzia di via Sinnai che a pranzo hanno rifocillato i ragazzi del nostro team. Con Omar ci cambiamo in quel posto e lui si veste di bianco con una lunga blusa e un pantalone sostenuto da una stringa rossa come la sua religione che attinge dai culti sincretici del Centro e Sudamerica di derivazione Yoruba. Religione che sa di Santèria e di Candomblé e che si ripercuote prepotentemente nel suo linguaggio musicale e nel suo approccio con la spiritualità della musica e della vita.
Prima di metterci in macchina diamo vita al rito dello scambio dell’energia tenendoci per mano per qualche minuto in silenzio e lontani da tutto e da tutti. Le prime volte questa prassi mi sembrava bizzarra ma ora la sento anche un po’ mia e mi fa stare bene con me stesso e con lui con il quale devo condividere il palcoscenico che questa notte a Settimo San Pietro non c’è. Il rosso dei fanali delle macchine che cercano parcheggio si perde a vista d’occhio e la gente è veramente tanta ma tutti sono li, seduti per terra ad attendere in religioso silenzio. Abbiamo scritto giusto qualche idea per l’inizio. Un brano in Do minore e poi uno in Re minore dove lui lancerà dei sampler che sanno di Africa e di Sudamerica. Poi il suo “Angustia” e i miei “S’Inguldu” e “Nenia” per passare successivamente a “Nenè la Kanou” e “Luz en el cielo”. A maggio abbiamo registrato un cd che uscirà a gennaio per la mia etichetta TÇ”k Music ma decidiamo di non suonare il nuovo materiale e di andare sul già conosciuto. Stasera è tutto troppo forte per metterci problemi di repertorio e di forma. Il bis sarà “Under african Skies” di Paul Simon dedicato al cielo di quel luogo magico che ci regala due stelle cadenti.
La gente si accalca per chiedere autografi e foto davanti alla porta della piccola chiesetta e una gentile signora si improvvisa bodyguard non facendo passare nessuno fino a quando non usciamo. “Non fatemi arrabbiare che stasera era troppo bello” dice con tono risoluto e tutti le danno retta. Scherzosamente le chiedo se non abbia voglia e tempo di venire in tour con noi per i prossimi 23 concerti che mancano al 31 luglio. Omar è esterrefatto da tutto. Dalla quantità di gente, dal calore del pubblico, dai visi con gli occhi lucidi, dal colore del tetto e dei fichi illuminati da Franceschino Carta. “Siempre locos” dice, “feliz compleano Paolo”. Ripone il suo lumicino rosso e la statuina nella borsa e saluta tutti come che lì ci sia stato da sempre e forse è vero e lui non lo sa. “Organizzazione perfetta” dico al Sindaco Costantino Palmas andando via che si è fatto tardi. Hanno offerto da bere e da mangiare a tutti ed eravamo tre o quattromila. Sacro e profano che si incontrano, nell’Isola del vento. Tra Santéria, musica, stelle, cibo e microchip.
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