L'altra Woodstock a Genova
Al Teatro della Tosse l'undicesima edizione del Red Wine Bluegrass Party celebra Woodstock con Lowell Levinger
Qualcuno, nell'armadio dei ricordi che tutto assieme forma la storia della popular music del secondo dopoguerra, senz'altro avrà almeno un po' di spazio, in un cassetto, per gli Youngbloods. Erano il gruppo capitanato da Jesse Colin Young, che poi ebbe qualche spicchio di fortuna negli anni Settanta come songwriter. Ma altrettanto importante, nell'equilibrio di quel gruppo che era nato sulla East Coast, ma presto mise radici nell’assai lisergica California della West Coast, fu l'apporto di Lowell “Banana” Levinger. Ottimo pianista, gran cultore di plettri e corde che hanno fatto la storia del folk e del country rock: mandolino, chitarra, banjo. Cominciarono a incidere nel '67. Furono, assieme ai Grateful Dead, agli Holy Modal Rounders e altri nomi – vari come assetti timbrici di gruppo nei confronti dell’elettricità –, hippie senza cedimenti e del tutto consci di rivendicare valori esattamente opposti a quelli dell’America che mandava a morire i ragazzi nelle paludi del Vietnam.
Sono passati cinquantadue anni, e cinquanta da Woodstock, che di quello spirito libertario fu (anche indirettamente) uno dei momenti topici e mitopoietici, e Levinger non solo è ancora tra noi, ma oggi è un signore con una nuvola di capelli bianchi e una camicia coloratissima che, dopo aver fatto mille lavori, gira il mondo con la band di Little Steven. O sennò va a trovare i suoi amici della italianissima Red Wine che, nel 2019, hanno deciso di festeggiare “L'altra Woodstock” sul palco del Teatro della Tosse.
Certo, si fa presto a invocare il mugugno sulla continua autocelebrazione che i rock fa di se stesso. Però qui le cose erano diverse, con quell’inspiegabile miscela di eleganza, padronanza strumentale ironia e sincero attaccamento alle fonti della grande musica popular che è ormai sigillo di fabbrica della Red Wine. Perché ci vuole coraggio, perizia e anche parecchia incoscienza creativa ad andare a interpretare il repertorio di Woodstock e dintorni musicali – ad esempio cosa succedeva musicalmente in Italia in quei mesi, canzoni cucite in medley – in chiave (principalmente) bluegrass. Con collanine, bandane e ironici gilet fiorati. Con la presenza in sala di un amico americano della band che a Woodstock c'era stato davvero, accampato in tenda sulla collina, “tanto l'amplificazione era così forte che si è sentito tutto da tutte le parti, per tre giorni”. E con il solito, eccellente parterre di ospiti.
A cominciare dal citato Levinger, uno che, per dirla con De André, ha “ricordi tanti, e nemmeno un rimpianto”, ed è ben vivo e ironico. Tant’è che ha tenuto a raccontare che gli Youngbloods a Woodstock non ci andarono perché il loro manager non aveva i soldi per portarceli, e che finirono invece a suonare in un baraccio di Baltimora, o a suonare per un divertito pubblico genovese "Hippie From Olema", un brano dei suoi Youngbloods scritto in sorridente ma velenosa risposta al tetro e reazionario "Okie From Muskogee" di Merle Haggard. Eccellente la scelta di brani debitamente “bluegrassizzati” dalla Red Wine in onore di Woodstock sempre mantenendo lo spettacolare gioco di voci armonizzate: "Hey Joe" per ricordare Hendrix, una "Friend of the Devil" per omaggiare i grandi e sfortunati Grateful Dead fradici di pioggia a Woodstock, "We Shall Overcome" per rammentare che quando Joan Baez cantò a Woodstock lo fece col pancione di sei mesi, e suo marito che languiva in un carcere texano perché contro la guerra in Vietnam.
Altre scintille con l’inevitabile "With A Little Help From My Friends" e il recupero festoso di "Going Up the Country", pregiata ditta Canned Heat, impreziosito dal clarinetto sornione di Francesco Bencini, in qualche brano anche al sax. Il vecchio amico Paolo Bonfanti è venuto di rinforzo sul finale con la sua micidiale chitarra mancina, con una conclusiva "I Shall Be Released" a precedere il sipario su "Find The Cost of Freedom". Dietro le spalle dei suonatori, e appesi in alto, i magnifici disegni in tempo reale di Roberto Zizzo: Woodstock li chiama i colori, nonostante il fango e la pioggia.
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