La rivoluzione sull’altro canale
I gatti persiani di Bahman Ghobadi e la cultura piratata
Recensione
world
The Revolution Will Not Be Televised…
(Gil Scott Heron)
… ma forse passa per altri canali: il caso delle proteste iraniane del 2009 trasmesse sui social network è esemplare. Proprio il regime iraniano è al centro di No One Knows About Persian Cats (I gatti persiani), in distribuzione da un paio di settimane nei cinema italiani. Il film, girato a Teheran alla vigilia dei disordini post-elettorali e premiato a Cannes nella sezione Un certain regard, è frutto del sacrificio del cineasta curdo-iraniano Bahman Ghobadi. Per raccontare la scena rock underground della capitale, Ghobadi è stato costretto a girare in condizioni estreme, aspettando permessi per anni e agendo ai limiti - e poi del tutto fuori - dalla legalità, condannandosi infine all’esilio («non posso tornare in Iran, mi arresterebbero»). Il film documenta sinceramente la musica e il sentimento dell’altro Iran, colto e medio-borghese, lo stesso letto e visto in Persepolis di Marjane Satrapi. Difficile non avvicinarlo per temi e provenienza socioculturale al recente Heavy Metal in Baghdad, prodotto da Spike Jonze e uscito in dvd per Isbn.
Ma oltre al valore documentario, I gatti persiani apre interrogativi sui mezzi di diffusione della cultura, un sistema largamente illegale in non poche nazioni. Il film di Ghobadi, distribuito in Europa, è proibito in patria. «Vuoi sfondare? Te ne distribuisco io centomila copie sul mercato nero», dice il manager-trafficone Hamed al musicista in cerca di successo con il suo disco. In un articolo su “Internazionale” 841, lo scrittore Daniel Alarcón sosteneva come l’unica misura del successo editoriale nel democratico Perù (in cui un libro originale quanto il 20% di uno stipendio settimanale) sia la velocità con cui viene piratato. I gatti persiani, ben prima della sua distribuzione, girava dissolto in migliaia di seeds su internet, scaricabile da chiunque (e soprattutto: dovunque) insieme a un videomessaggio del regista: «sono orgoglioso che possiate vedere il mio film gratis, potete darlo a chi volete… guardatelo su schermi grandi e con la migliore qualità del suono, e se conoscete qualcuno che lavora nella musica underground, supportate questi ragazzi: il futuro dell’Iran è nelle loro mani».
(nessuna apologia del download: a meno che non mastichiate un po’ di farsi, consigliamo la visione al cinema)
(Gil Scott Heron)
… ma forse passa per altri canali: il caso delle proteste iraniane del 2009 trasmesse sui social network è esemplare. Proprio il regime iraniano è al centro di No One Knows About Persian Cats (I gatti persiani), in distribuzione da un paio di settimane nei cinema italiani. Il film, girato a Teheran alla vigilia dei disordini post-elettorali e premiato a Cannes nella sezione Un certain regard, è frutto del sacrificio del cineasta curdo-iraniano Bahman Ghobadi. Per raccontare la scena rock underground della capitale, Ghobadi è stato costretto a girare in condizioni estreme, aspettando permessi per anni e agendo ai limiti - e poi del tutto fuori - dalla legalità, condannandosi infine all’esilio («non posso tornare in Iran, mi arresterebbero»). Il film documenta sinceramente la musica e il sentimento dell’altro Iran, colto e medio-borghese, lo stesso letto e visto in Persepolis di Marjane Satrapi. Difficile non avvicinarlo per temi e provenienza socioculturale al recente Heavy Metal in Baghdad, prodotto da Spike Jonze e uscito in dvd per Isbn.
Ma oltre al valore documentario, I gatti persiani apre interrogativi sui mezzi di diffusione della cultura, un sistema largamente illegale in non poche nazioni. Il film di Ghobadi, distribuito in Europa, è proibito in patria. «Vuoi sfondare? Te ne distribuisco io centomila copie sul mercato nero», dice il manager-trafficone Hamed al musicista in cerca di successo con il suo disco. In un articolo su “Internazionale” 841, lo scrittore Daniel Alarcón sosteneva come l’unica misura del successo editoriale nel democratico Perù (in cui un libro originale quanto il 20% di uno stipendio settimanale) sia la velocità con cui viene piratato. I gatti persiani, ben prima della sua distribuzione, girava dissolto in migliaia di seeds su internet, scaricabile da chiunque (e soprattutto: dovunque) insieme a un videomessaggio del regista: «sono orgoglioso che possiate vedere il mio film gratis, potete darlo a chi volete… guardatelo su schermi grandi e con la migliore qualità del suono, e se conoscete qualcuno che lavora nella musica underground, supportate questi ragazzi: il futuro dell’Iran è nelle loro mani».
(nessuna apologia del download: a meno che non mastichiate un po’ di farsi, consigliamo la visione al cinema)
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