La Lulu appassionata di Gatti

Alla Scala Berg con la regia di Peter Stein

Recensione
classica
Teatro alla Scala Milano
Alban Berg
06 Aprile 2010
Chi ha nelle orecchie il gelido metronomo della vecchia registrazione di Boulez, rimane felicemente sopreso dalla direzione di Daniele Gatti. Senza rinunciare a un'analisi meticolosa, riesce infatti a far affiorare passionalità, tensione lirica, abbandoni, che altrimenti rischiano d'essere soffocati da una lettura al microscopio. Questa bella Lulu alla Scala (dopo imperdonabili trent'anni di assenza) ha davvero momenti d'intensità che non lasciano scampo allo spettatore: per esempio l'Hymnne di Alwa del secondo atto o il finale del terzo. Di ottimo livello il cast (lo stesso di Lione e Vienna, che hanno coprodotto lo spettacolo lo scorso anno), dove brilla per duttilità vocale e recitazione Laura Aikin (Lulu), ma tutti spesso penalizzati dalle scene molto arretrate che li obbligano a cantare a cinque, sei metri dal proscenio. La regia di Peter Stein (ripresa da Jean Roman Vesperini e Lorenza Cantini) si snoda con assoluta naturalezza ed estrema attenzione per ogni gesto, nel décor razionalista firmato da Ferdinand Wogerbauer. Il sipario del Prologo, che chiuderà anche l'opera, è un collage di manifesti di spettacoli circensi, un'occasione per delle buffe apparizioni di animali di cartapesta (tigre, cammello, coccodrillo), ma il sorriso sparisce subito all'avvio della pochade di morte. Stein ha voluto sempre in scena il ritratto di Lulu, ora in opera, ora finito, ora ridotto a manifesto, né ha rinunciato al film del secondo atto, riducendolo però a uno schermo senza immagini dove vengono proiettate le drammatiche didascalie del processo e del carcere. Platea con parecchi posti vuoti, che ahimè sono aumentati dopo il secondo atto. Non c'è verso, il pubblico della Scala (almeno quello del turno F) ha ancora problemi con Alban Berg. Calorosa l'accoglienza alla fine, specie per Daniele Gatti e Laura Aikin, ma immeritamente e maleducatamente affrettata.

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