Jazz e idee dalla Polonia
A Wroclaw per Jazztopad: politiche culturali da cui si potrebbe imparare
Recensione
jazz
Molte cose potrei raccontare della manciata di giorni a Wroclaw per lo showcase dedicato al jazz polacco all’interno dell’ottimo festival Jazztopad.
Potrei raccontarvi di una città bellissima e ricca di energie culturali in crescita.
Di un direttore giovane e illuminato come Piotr Turkiewicz, capace non solo di costruire ottimi cartelloni, ma anche di ideare forti progettualità di supporto nei confronti dei musicisti e dello scambio artistico in Europa. Potrei raccontarvi la sensazione di scendere in un aeroporto (quello di Wroclaw) in cui campeggia il manifesto di un festival con le immagini Pharoah Sanders, Mulatu Astatke e Wadada Leo Smith provenendo da un aeroporto italiano nel cui tunnel che conduce all’aereo sono stato salutato da un poster di Raphael Gualazzi “rappresentante del jazz italiano”…
Nell’impossibilità di fare un resoconto completo dell’intensissimo viaggio in Polonia, cerco però di condividere con voi alcune impressioni e riflessioni.
Il jazz in Polonia ha una tradizione forte e significativa (anche se alla fine si rischia di ricordare sempre i nomi di Komeda, Stanko, Urbaniak o Marcin Wasilewski) e lo showcase ha confermato l’ottimo livello anche degli artisti più giovani.
Alcuni musicisti sono allineati a una sorta di linguaggio globale in cui è forte l’influenza di esperienze storicizzate o più recenti dell’espressività afroamericana e del jazz europeo, altri portano la propria tradizione (sia folklorica che di matrice eurocolta) dentro la musica con strategie e esiti differenti. Il blog Polish-Jazz è un ottima chiave di accesso a questo mondo.
Tra i gruppi che ho ascoltato a Wroclaw quelli che mi sembrano più interessanti sono certamente il Tom Trio del trombettista Tomasz Dabrowski), artefice di una musica di grande tensione all’interno di una formazione particolarmente essenziale e l’High Definition Quartet del pianista Piotr Orzechowski che rilegge Lutoslawski attraverso una lente di visionaria potenza improvvisativa.
Potente anche il quartetto del già affermato violinista Adam Baldych: è musica volutamente di grande impatto e facile presa anche per un pubblico di non appassionati, grazie a melodie e dinamiche smaccatamente accattivanti. Sulla carta la cosa dovrebbe piacermi poco, ma la bravura dei musicisti è tale che non gli si può negare l’onore della citazione.
Più legato a un linguaggio anni Sessanta (siamo dalle parti del Don Cherry periodo Blue Note, per intenderci) è anche il trombettista Piotr Damasiewicz, che ha acceso più di qualche entusiasmo nella serata nel suggestivo club Mleczarnia (pieno di ragazze e ragazzi davvero giovani). Davvero sincero e coinvolgente.
Altre proposte sono suonate più prevedibili o velleitarie, forse immature o troppo lunghe, comunque ho avuto la sensazione di una scena che risponde alle sollecitazioni di un importante supporto (sia promozionale che di senso più ampio) e che può crescere ancora nel continuo scambio con i colleghi europei e americani. (Lo testimonia anche il catalogo dell’etichetta ForTune/, che oltre a supportare molti dei musicisti citati, presenta anche incontri con artisti americani – Tyshawn Sorey o Kris Davis con Dabrowski – e registrazioni di live in Polonia di gruppi come quelli di Anthony Braxton o di Ches Smith. Tutto su )
Non l’ho ascoltato dal vivo, ma è notevolissimo anche il cantante Grzegorz Karnas, di cui è uscito recentemente un bel disco dal titolo "Vanga" per la Budapest Music Center Records.
La lista potrebbe proseguire, ma quello che mi preme è piuttosto condividere qui la sensazione che gli artisti si aiutano mettendoli alla prova, facendoli confrontare con il mondo. In questi giorni in cui il nostro jazz è in fibrillazione per il cosiddetto "bando Franceschini" e per una rinata attenzione associativa alle sempre crescenti problematiche dei musicisti (abbiamo parlato di MIdJ nel numero di ottobre del "Giornale della Musica"), non ho potuto fare a meno di avere la conferma a quello che vado dicendo da tempo e cioè che se vogliamo aiutare davvero i nostri jazzisti dobbiamo uscire dalla logica della sovvenzione o di un protezionismo inteso ad esempio nel senso di "quote obbligatorie" di italiani nei festival (idee vecchie che hanno già mostrato i propri limiti in altre nazioni assai più serie della nostra e che si presterebbero probabilmente subito a storture peggiori del male cui vorrebbero porre rimedio).
Dobbiamo invece chiedere a gran voce che una parte di fondi vada proprio nella direzione di showcase come quello di Wroclaw, che i soldi servano per invitare nelle nostre città (è un agire importante anche per il turismo tanto caro al Ministro e alle amministrazioni locali) i migliori operatori europei e fare ascoltare loro quanti più musicisti italiani possibile. Ascoltare e incontrare, come è successo in Polonia, in un clima di grande informalità ma anche di gentile serietà, in cui il sedersi a tavola a fianco di un operatore ungherese o francese, di un giornalista giapponese o di un organizzatore del Lincoln Center, di un chitarrista o un pianista appena sceso dal palco è l’occasione migliore per uno scambio sano e costruttivo.
Ascoltare incontrare e poi decidere chi invitare nei loro festival, di chi parlare sulle loro testate, perché è solo mettendosi alla prova in un contesto di alta qualità e professionalità, come quello che molti festival europei stanno praticando, che la nostra scena jazz può uscire da quel provincialismo politico, culturale, curatoriale e organizzativo che ancora mi sembra affligga alcune realtà.
Certo, direte voi, siamo in uno dei Paesi che meno sostiene la cultura e la cosa – sebbene da molte parti a mezza bocca sembri alla fine un male minore – è assolutamente indifendibile.
In Polonia, paese che sta crescendo molto, lo sanno e Wroclaw (che sarà Capitale Europea della Cultura nel 2016) racconta al meglio come si debba e si possa investire in cultura.
Lo testimoniano i lavori (un po’ in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma si dovrebbe aprire a settembre 2015) per il National Forum of Music, che ho avuto il privilegio di visitare con altri delegati. È una sala da concerto pazzesca, tecnicamente in primis, poi per versatilità (una sala da 1800 posti, altre tre più piccole polifunzionali) e perché il progetto in sé è forte di un apparato di idee e azioni formative che scommettono sulle generazioni future e se ne prendono cura, attraverso la musica sinfonica, la musica corale, il jazz, la musica per i bimbi e per le mamme che aspettano i bimbi, altro che Suor Cristina “sdoganata” dal Vaticano come "mezzo per essere più vicini ai giovani"! Inutile dire che per fare questo sono stati investiti, sia pubblicamente che da privati, milioni e milioni di euro, che creano cultura, ma anche lavoro e identità. E non ne ha bisogno solo la Polonia che ha una storia recente differente dalla nostra, sappiatelo.
Sono ripartito da Wroclaw che era ancora notte, con una pioggerellina leggera che faceva luccicare i due inconfondibili campanili della cattedrale di San Giovanni Battista. Con molte idee in testa, che – buone o cattive che siano – è sempre il segno che questo breve viaggio è stato degno di essere vissuto.
(un ringraziamento all’Istituto Polacco di Cultura di Roma, a Piotr Turkiewicz, Anna Michalczuk, Monika Papst e a Riccardo Cigolotti/Novara Jazz, che consiglio a tutti come compagno di viaggio)
Potrei raccontarvi di una città bellissima e ricca di energie culturali in crescita.
Di un direttore giovane e illuminato come Piotr Turkiewicz, capace non solo di costruire ottimi cartelloni, ma anche di ideare forti progettualità di supporto nei confronti dei musicisti e dello scambio artistico in Europa. Potrei raccontarvi la sensazione di scendere in un aeroporto (quello di Wroclaw) in cui campeggia il manifesto di un festival con le immagini Pharoah Sanders, Mulatu Astatke e Wadada Leo Smith provenendo da un aeroporto italiano nel cui tunnel che conduce all’aereo sono stato salutato da un poster di Raphael Gualazzi “rappresentante del jazz italiano”…
Nell’impossibilità di fare un resoconto completo dell’intensissimo viaggio in Polonia, cerco però di condividere con voi alcune impressioni e riflessioni.
Il jazz in Polonia ha una tradizione forte e significativa (anche se alla fine si rischia di ricordare sempre i nomi di Komeda, Stanko, Urbaniak o Marcin Wasilewski) e lo showcase ha confermato l’ottimo livello anche degli artisti più giovani.
Alcuni musicisti sono allineati a una sorta di linguaggio globale in cui è forte l’influenza di esperienze storicizzate o più recenti dell’espressività afroamericana e del jazz europeo, altri portano la propria tradizione (sia folklorica che di matrice eurocolta) dentro la musica con strategie e esiti differenti. Il blog Polish-Jazz è un ottima chiave di accesso a questo mondo.
Tra i gruppi che ho ascoltato a Wroclaw quelli che mi sembrano più interessanti sono certamente il Tom Trio del trombettista Tomasz Dabrowski), artefice di una musica di grande tensione all’interno di una formazione particolarmente essenziale e l’High Definition Quartet del pianista Piotr Orzechowski che rilegge Lutoslawski attraverso una lente di visionaria potenza improvvisativa.
Potente anche il quartetto del già affermato violinista Adam Baldych: è musica volutamente di grande impatto e facile presa anche per un pubblico di non appassionati, grazie a melodie e dinamiche smaccatamente accattivanti. Sulla carta la cosa dovrebbe piacermi poco, ma la bravura dei musicisti è tale che non gli si può negare l’onore della citazione.
Più legato a un linguaggio anni Sessanta (siamo dalle parti del Don Cherry periodo Blue Note, per intenderci) è anche il trombettista Piotr Damasiewicz, che ha acceso più di qualche entusiasmo nella serata nel suggestivo club Mleczarnia (pieno di ragazze e ragazzi davvero giovani). Davvero sincero e coinvolgente.
Altre proposte sono suonate più prevedibili o velleitarie, forse immature o troppo lunghe, comunque ho avuto la sensazione di una scena che risponde alle sollecitazioni di un importante supporto (sia promozionale che di senso più ampio) e che può crescere ancora nel continuo scambio con i colleghi europei e americani. (Lo testimonia anche il catalogo dell’etichetta ForTune/, che oltre a supportare molti dei musicisti citati, presenta anche incontri con artisti americani – Tyshawn Sorey o Kris Davis con Dabrowski – e registrazioni di live in Polonia di gruppi come quelli di Anthony Braxton o di Ches Smith. Tutto su )
Non l’ho ascoltato dal vivo, ma è notevolissimo anche il cantante Grzegorz Karnas, di cui è uscito recentemente un bel disco dal titolo "Vanga" per la Budapest Music Center Records.
La lista potrebbe proseguire, ma quello che mi preme è piuttosto condividere qui la sensazione che gli artisti si aiutano mettendoli alla prova, facendoli confrontare con il mondo. In questi giorni in cui il nostro jazz è in fibrillazione per il cosiddetto "bando Franceschini" e per una rinata attenzione associativa alle sempre crescenti problematiche dei musicisti (abbiamo parlato di MIdJ nel numero di ottobre del "Giornale della Musica"), non ho potuto fare a meno di avere la conferma a quello che vado dicendo da tempo e cioè che se vogliamo aiutare davvero i nostri jazzisti dobbiamo uscire dalla logica della sovvenzione o di un protezionismo inteso ad esempio nel senso di "quote obbligatorie" di italiani nei festival (idee vecchie che hanno già mostrato i propri limiti in altre nazioni assai più serie della nostra e che si presterebbero probabilmente subito a storture peggiori del male cui vorrebbero porre rimedio).
Dobbiamo invece chiedere a gran voce che una parte di fondi vada proprio nella direzione di showcase come quello di Wroclaw, che i soldi servano per invitare nelle nostre città (è un agire importante anche per il turismo tanto caro al Ministro e alle amministrazioni locali) i migliori operatori europei e fare ascoltare loro quanti più musicisti italiani possibile. Ascoltare e incontrare, come è successo in Polonia, in un clima di grande informalità ma anche di gentile serietà, in cui il sedersi a tavola a fianco di un operatore ungherese o francese, di un giornalista giapponese o di un organizzatore del Lincoln Center, di un chitarrista o un pianista appena sceso dal palco è l’occasione migliore per uno scambio sano e costruttivo.
Ascoltare incontrare e poi decidere chi invitare nei loro festival, di chi parlare sulle loro testate, perché è solo mettendosi alla prova in un contesto di alta qualità e professionalità, come quello che molti festival europei stanno praticando, che la nostra scena jazz può uscire da quel provincialismo politico, culturale, curatoriale e organizzativo che ancora mi sembra affligga alcune realtà.
Certo, direte voi, siamo in uno dei Paesi che meno sostiene la cultura e la cosa – sebbene da molte parti a mezza bocca sembri alla fine un male minore – è assolutamente indifendibile.
In Polonia, paese che sta crescendo molto, lo sanno e Wroclaw (che sarà Capitale Europea della Cultura nel 2016) racconta al meglio come si debba e si possa investire in cultura.
Lo testimoniano i lavori (un po’ in ritardo rispetto alla tabella di marcia, ma si dovrebbe aprire a settembre 2015) per il National Forum of Music, che ho avuto il privilegio di visitare con altri delegati. È una sala da concerto pazzesca, tecnicamente in primis, poi per versatilità (una sala da 1800 posti, altre tre più piccole polifunzionali) e perché il progetto in sé è forte di un apparato di idee e azioni formative che scommettono sulle generazioni future e se ne prendono cura, attraverso la musica sinfonica, la musica corale, il jazz, la musica per i bimbi e per le mamme che aspettano i bimbi, altro che Suor Cristina “sdoganata” dal Vaticano come "mezzo per essere più vicini ai giovani"! Inutile dire che per fare questo sono stati investiti, sia pubblicamente che da privati, milioni e milioni di euro, che creano cultura, ma anche lavoro e identità. E non ne ha bisogno solo la Polonia che ha una storia recente differente dalla nostra, sappiatelo.
Sono ripartito da Wroclaw che era ancora notte, con una pioggerellina leggera che faceva luccicare i due inconfondibili campanili della cattedrale di San Giovanni Battista. Con molte idee in testa, che – buone o cattive che siano – è sempre il segno che questo breve viaggio è stato degno di essere vissuto.
(un ringraziamento all’Istituto Polacco di Cultura di Roma, a Piotr Turkiewicz, Anna Michalczuk, Monika Papst e a Riccardo Cigolotti/Novara Jazz, che consiglio a tutti come compagno di viaggio)
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