Italia batte India a Verona
L'atteso trio di Rudresh Mahanthappa si rivela un po' monocorde, Mickey Finn con Cuong Vu accendono la serata
Recensione
jazz
Dei Festival estivi italiani, Verona è tra quelli che vanta una maggiore tradizione di coraggio e coerenza artistica e lo conferma anche in anni, come questi, nei quali il programma è costretto a muoversi tra compromessi e immagine (l'Hancock/Lang Lang atteso all'Arena ne è l'esempio più lampante). Merito dunque di Nicola Tessitore avere chiamato al Teatro Romano per una serata fin troppo eterogenea artisti meno conosciuti, ma che rappresentano le tendenze più interessanti della ricerca. Il sassofonista Rudresh Mahanthappa - che in questo festival aveva avuto il proprio esordio italiano 10 anni fa - ha presentato qui il suo progetto forse più monocorde, un trio con la chitarra di Rez Abbasi e le tabla di Dan Weiss che si muove tra jazz e tradizione indiana. La tessitura tra sax e chitarra è fitta e continua e l'uniformità timbrica manda presto in sofferenza l'esito complessivo, nonostante la bravura dei musicisti e qualche bella apertura lirica.
Davvero notevole il successivo concerto, con il quintetto Mickey Finn (dal collettivo El Gallo Rojo) impreziosito dalla tromba di Cuong Vu: un suono elettrico - nel quale riecheggiano il Miles Davis degli anni Settanta e il rock inglese, le "posterità" chicagoane e il funk - che si distende in paesaggi onirici e inquieti, quasi fossero infestati da spettri a bassa fedeltà. Bravissimi Giorgio Pacorig alle tastiere e Enrico Terragnoli alla chitarra, sostenuti da un sulfureo Danilo Gallo al basso e da Zeno De Rossi alla batteria, mentre Cuong Vu ha pennellato le sue consuete linee lisergiche e struggenti, presenti anche nel disco appena uscito. Chiusura di serata con il quartetto del trombonista Mauro Ottolini con il sax di Daniele D'Agaro, ottimo e divertente, anche se ancora con qualche dettaglio da rifinire. Italia batte India 2-1!
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