Intersezioni a Loano

Il Premio si conferma per il settimo anno

Recensione
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Incontri con quelli che una volta si sarebbero chiamati “operatori culturali”, e concerti di quello che una volta si sarebbe chiamato “folk progressivo”: le parole invecchiano molto più velocemente delle musiche - per fortuna - e uno dei problemi della settima edizione del Premio Loano sembra essere proprio come definire le musiche di cui si occupa: "contaminazione" non piace più (almeno, non al direttore artistico John Vignola). Intersezione, piuttosto. È un problema anche perché gli spazi per la “musica tradizionale italiana” (questa la dicitura ufficiale nell’intestazione del Premio) si vanno restringendo di anno in anno, e gli “operatori culturali” (ancora…) che transitano a Loano non possono che lamentare la chiusura di sbocchi importanti, nelle radio e sulla carta stampata.
Ma, tralasciando la sindrome da ultimi giapponesi nel Pacifico - e i vuoti lessicali - quella che oggi qualcuno chiamerebbe “scena”, o “sottobosco”, world in Italia ancora funziona: lo mostra il contatto con il pubblico, che in questa Liguria così poco estiva è composto in buona parte da villeggianti, che solo in piccolissima parte conoscono i lavori della Macina di Gastone Pietrucci, o di Riccardo Tesi, o di Calicanto, ma non si fanno troppi problemi, e ai concerti ci vanno volentieri.
Anzi, alla prova del pubblico si dimostra ancora una volta come il rapporto del “folk” con la “gente” (quasi un reincontrarsi etimologico…) sia la grande occasione sprecata della musica italiana: perché il virtuosismo progressivo di Banditaliana, il minimalismo di Alfio Antico, il nitore acustico di Calicanto e le ruvidezze della Macina, o le follie di Claudia Bombardella, sono esempi di musica raffinatissima, studiata, meditata, ma non difficile, e perfettamente fruibile anche senza avere in mente il dibattito etnomusicologico fra tradizione e conservazione.

La giornata a Loano è divisa fra le presentazioni delle 18, nella intima Piazza Palestro, e i concerti serali sul lungomare, in attesa del main event conclusivo: Passione, il concertone della Napoli world liberamente tratto dal film di John Turturro (anche lui presente a Loano).

Più “radicali” (anche nel senso proprio di radice, che affonda nella terra) gli appuntamenti del pomeriggio: Alfio Antico, che ha appena fatto un disco prodotto dalla conterranea Carmen Consoli, ma che dal vivo si presenta solo con voce e tamburo, chiarisce bene questo tipo di rapporto. Racconta della sua infanzia da pastore, del ricordo acustico dell’”orchestrazione” dei campanacci delle capre, sotto la guida del nonno. O del ritmo delle fave nel setaccio («Per costruire i tamburi cerco dei setacci che abbiano setacciato», come se mantenessero una memora sonora, spiega). Lo si definisce “cantautore”, ma le parole e la melodia sono per lui un qualcosa che nasce dal ritmo e dai timbri del tamburo, che a sua volta sono ricordi di un paesaggio sonoro.


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Alfio Antico

Un po’ al contrario della polistrumentista e cantante Claudia Bombardella (in duo con il plettrista Silvio Trotta), il cui paesaggio sonoro è il mondo intero. In una selva di strumenti (sax baritono, clarinetti, armonium, steel drum caraibici, fisarmoniche…) la Bombardella e Trotta si “inventano” delle tradizioni, e le giustappongono in un medley che passa dall’Ungheria alla Mongolia al Gargano: una via diversa – più associativa e meno sincretica – alla world music, che non molti hanno sperimentato. Onore a RadiciMusic Records, etichetta toscana del “discografico” Aldo Coppola Neri (e con la direzione artistica, appunto, di Claudia Bombardella), Premio Loano 2011 per la Realtà Culturale. Un’etichetta che confeziona i dischi come un liutaio confeziona uno strumento: pochi alla volta, rifiniti nella forma, e che suonino bene.

Le radici venete di Calicanto, invece, affondano nell’archeologia del folk revival italiano: trent’anni di vita, e Premio alla Carriera per un progetto che continua vitale e incorpora le nuove generazioni: l’ultimo arrivato è il non ancora maggiorenne Alessandro Tombesi, figlio di Roberto, promessa dell’arpa e già autore di un disco bellissimo, Barene. Il suono del gruppo è oggi un’attualizzazione della vecchia linea di Calicanto, sempre incentrata sulla sottrazione, sulla rifinitura maniacale di arrangiamenti “semplici” e per questo limpidi, leggeri. Una “terza via”, la definisce Tombesi, nata tre decenni fa a metà strada «fra le operazioni più documentarie alla Ciapa Rusa, e le sperimentazioni di Riccardo Tesi», e che ancora offre materiale su cui lavorare, fra musica e ricerca: il prossimo passo prevede il lavoro su un corpus di danze trovate nell’area dolomitica.


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Roberto Tombesi - Calicanto

Riccardo Tesi, appunto: di Banditaliana ormai si è detto quasi tutto. Il gruppo è a Loano per ritirare il Premio della giuria di giornalisti per il disco dell’anno (Sopra i tetti di Firenze, omaggio all-star a Caterina Bueno uscito a nome Riccardo Tesi-Maurizio Geri). In apertura di serata, la Banda compone un set breve, con pezzi dell’ultimo disco (la mitteleuropea “Kafkaffé”, la brasiliana “Madreperla”) e vecchi classici contadini toscani. Si chiude, inevitabilmente, con la splendida “Caterina” di Francesco De Gregori, dedicata alla Bueno, che nell’arrangiamento per chitarra, organetto e voce risplende di luce nuova ed emoziona.

La seconda parte della serata è per La Macina di Gastone Pietrucci, che apre, insieme a Banditaliana, con una strepitosa “Benediciamo a Cristoforo Colombo”, che, sarà il tema, sarà la vicinanza con “Caterina”, una certa somiglianza armonica, il suono un po’ americano dei compagni di viaggio di Gastone Pietrucci, ma sembra davvero tratta da Titanic. La pioggia interrompe il concerto, ma la voce sempre più roca di Pietrucci regala almeno un momento indimenticabile, quando attacca in chiusura il cavallo di battaglia “Moje mia me ne vo al merca'”, che con la pioggia che cresce e finisce, velocissima e urlata, in un furore quasi punk.


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Gastone Pietrucci

"Intersezioni", quelle loanesi, che durano in molti casi da decenni (ventotto anni dal primo disco di Tesi, trent'anni di Calicanto, più di quaranta di Macina...) ma che ancora possono mostrare la strada, senza essersi mai richiuse nella celebrazione del proprio suono e del proprio repertorio. Una constatazione che è applicabile a molti pochi "maestri" della canzone italiana, anche d'autore: l'ex "folk progressivo" è ancora progressivo, gli "operatori culturali" ancora fanno cultura.
Constatato lo stato di salute economica non eccelso - per così dire -della nostra "world music", rimane questa la consolazione: e meno male c'è ancora un Premio Loano a ricordarcelo.

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