Il vento fresco di Bruges
Dal 30 settembre al 3 ottobre si è tenuto il festival belga, casa del "nuovo" jazz
Recensione
jazz
Quattro giorni fitti di concerti per testare lo stato di salute del jazz europeo, con l’intento di promuovere progetti in sinergia tra Nord e Sud. Una istruttiva testimonianza di come l’arte riesca a prefigurare sviluppi mal digeriti dalla politica. In primo piano musiche a tratti ostiche, artisticamente visionarie nell’avvicinarsi alle mille trasformazioni che segnano il mondo globalizzato.
Tra tanti nomi emergenti c’è stato spazio per il rigoglioso pianismo di Keith Tippett, sviluppatosi a spirale lungo un asse verticale molto frastagliato, ricco di repentine rotture tematiche. Sugli scudi anche Hamid Drake con gli ungheresi Victor Toth e Mathias Szandai, impegnati rispettivamente al sax e contrabbasso. La loro è stata una scoppiettante kermesse destrutturante affidata al libero gioco dell’estemporaneità, con fulminanti trame sovrapposte che richiamano la tecnica pittorica delle tele divisioniste.
Maestria tecnica, versatilità; dinamismo. Sono le carte vincenti del quartetto franco-tedesco MKMB guidato dal Joachim Kuhn per un set votato all’indeterminazione delle forme. Riascoltare il pianismo tuttora aperto e graffiante di Kuhn fa comprendere come esso sia il parametro di riferimento della migliore avanguardia nord-europea contemporanea.
La palma delle esibizioni solistiche spetta al pianista olandese Michiel Bramm ed il duo Courvoisier/Eskelin. Due proposte magistralmente proiettate verso la vivace intelligenza creativa, nel segno di un indomito spirito di ricerca. Ben rappresentati il jazz francese (Andy Emler) e quello belga con lo swing della Brussels Jazz Orchestra. Molto applaudito il progetto “Il vino all’opera”, grazie al formidabile estro di Antonello Salis (con Furio Di Castri) nel decostruire le arie di Rossini, Mozart, Verdi, Puccini.
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