Il passato sotto di noi
diario del 6 luglio
Recensione
jazz
Giro di boa ieri alla Grande Miniera di Serbarìu.
Concerto numero 25. Ci aspettano altri 25 giorni altrettanto emozionanti e 25 nuovi progetti musicali in luoghi straordinari.
Questo giorno speciale merita qualcosa di altrettanto speciale e questa mattina l’ospedale di Nuoro la Cappella è gremita di pazienti, personale medico, curiosi e appassionati. Saranno un centinaio e c’è molta attenzione. Seduti sui banchi in prima fila ci sono anche alcuni degenti del reparto di psichiatria e Pinuccia ha compiuto proprio oggi gli anni e le dedichiamo una versione di “No Potho reposare” con flicorno e contrabbasso. Alcuni la stanno cantando dentro e si sente nell’aria. Lei è visibilmente emozionata e le faccio un autografo su un fazzolettino da naso che mi porge con la mano insicura. Alla fine una signora minuta con i capelli cortissimi si avvicina. “Bravi e complimenti” ci dice, “sembravate al lavoro in un campo di cotone come ‘Lus’ Armstrong”. Lo dice toccando la mano a Salvatore Maltana che è arrivato apposta da Alghero per suonare questa mattina nella Cappella dell’Ospedale per un concerto insolito di tromba, flicorno e contrabbasso. La signora minuta con i capelli cortissimi parla con Salvatore, con me al fianco, per una decina di minuti convinta che sia io e tutti ridiamo. Alla fine anche io le porgo la mano. “Glielo dice anche lei a Paolo Fresu che è bravo e che è il nostro orgoglio?” mi chiede quando la Cappella è ormai vuota e tutti sono andati a pranzo.
Chi si è dato da fare per organizzare questo matinée è il dottor Angelo Palmas che oltre a essere un medico impegnato nella solidarietà è anche il Presidente dell’Ente Musicale di Nuoro dove da 23 anni organizzo i Seminari di jazz. Seminari fondati da Antonietta Chironi che era una grande cantante lirica e tradizionale e che se n’è andata troppo presto stroncata da un tumore. Ieri in ospedale c’era anche la sorella e mi ha fatto piacere salutarla. Antonietta non era solo una donna intelligente e acuta ma anche una grande artista. Personaggio influente della scena musicale sarda, di Nuoro e della sua Barbagia incarnava gli aspetti più forti e marcati. Era testarda e risoluta, fortemente attaccata alle tradizioni della sua terra e soprattutto alla sua musica. Come Maria Carta conosceva perfettamente il repertorio tradizionale e ne intuiva le potenzialità contemporanee in un momento storico in cui persisteva una divisione netta tra musica colta e musica etnica. Nell’88 mi chiese di proporle qualcosa da organizzare a Nuoro tramite l’Ente che lei stessa aveva fondato qualche anno prima e così sono nati i Seminari nei quali sono passati diverse migliaia di ragazzi e ragazze.
Anche molti dei componenti dell’Orchestra Jazz della Sardegna sono passati nei nostri Seminari e nella Grande Miniera di Serbarìu hanno indossato i caschi dei minatori. Rossi per le trombe, gialli per i tromboni, corni e ance quelli blu e ritmica variopinta. Io un casco giallo perché faceva pendant con la t-shirt della Cooperativa dei diversamente abili di Mantova che mettiamo in vendita tutte le sere mentre il Direttore d’Orchestra portava un casco con la luce a batteria a illuminare la partitura di George Gershwin.
Nel pomeriggio scendiamo nelle viscere della terra per un giro illustrativo sotto la guida esperta di Mauro Villani. La miniera di Serbariu è stata una delle più grandi risorse energetiche dell’Italia fascista e nel 1948 vi si svolse uno degli scioperi più lunghi della storia del nostro Paese e che durò 72 giorni. E’ stata definitivamente chiusa nel 1971 e solo a partire dai primi anni 2000 è stata convertita in uno straordinario museo che sottolinea bene cosa ha significato l’essere minatori in Sardegna e nel mondo in quegli anni. Quando riguadagnamo la luce dalla Lampisteria mi rendo conto di avere vissuto una emozione così solo ad Auschwitz. Il nero delle pareti della miniera, gli argani, i macchinari, i rumori, le foto, i video del Luce. Diciottomila persone che hanno fatto l’architettura di una città che non esisteva. Dodicimila minatori sotto terra con tre turni diversi. Turni impossibili al limite dell’umano. Nei locali delle docce alcuni ex-minatori hanno apposto l’impronta delle loro mani su un grande telo bianco. Nome, cognome, attività svolta in miniera, data di nascita. Molti di questi sono ancora in vita e hanno conosciuto tutto ciò che ora è in quel museo e che a noi sembra di un altro tempo. L’impressione è che un mondo a noi sconosciuto ritorni a galla dalle viscere della terra rendendoci una distanza abissale da noi stessi. Fino a quando non scendiamo in quel dedalo di cunicoli e gallerie a scoprire una vita sommersa.
All’ingresso di Serbarìu una frase di Mussolini. “Coloro che io preferisco sono quelli che lavorano duro, secco, sodo in obbedienza e possibilmente in silenzio”. Non è forse Auschwitz questo? Due scarpe da lavoro in mostra e alcune biciclette arrugginite d’improvviso mi hanno ricordato il Museo di Hiroshima. Mi chiedo se non è la ruggine a rendere uguali le tragedie del mondo. La nostra “Porgy & Bess” si consuma sopra quel dedalo di gallerie calpestato dalle scarpe di migliaia e migliaia di minatori.
Nel libro di Luciano Ottelli una frase di Henry James: “Il presente si vede solo di profilo. E’ il passato che abbiamo di fronte”. Ieri sera il passato era sotto di noi. Scrivo il mio nome sul libro degli ospiti. Libro enorme come quel formicaio di strade sotterranee che camminano sotto la Città di Carbonia. Nel sito del Museo tante piccole luci bianche sul nero infinito.
Questo giorno speciale merita qualcosa di altrettanto speciale e questa mattina l’ospedale di Nuoro la Cappella è gremita di pazienti, personale medico, curiosi e appassionati. Saranno un centinaio e c’è molta attenzione. Seduti sui banchi in prima fila ci sono anche alcuni degenti del reparto di psichiatria e Pinuccia ha compiuto proprio oggi gli anni e le dedichiamo una versione di “No Potho reposare” con flicorno e contrabbasso. Alcuni la stanno cantando dentro e si sente nell’aria. Lei è visibilmente emozionata e le faccio un autografo su un fazzolettino da naso che mi porge con la mano insicura. Alla fine una signora minuta con i capelli cortissimi si avvicina. “Bravi e complimenti” ci dice, “sembravate al lavoro in un campo di cotone come ‘Lus’ Armstrong”. Lo dice toccando la mano a Salvatore Maltana che è arrivato apposta da Alghero per suonare questa mattina nella Cappella dell’Ospedale per un concerto insolito di tromba, flicorno e contrabbasso. La signora minuta con i capelli cortissimi parla con Salvatore, con me al fianco, per una decina di minuti convinta che sia io e tutti ridiamo. Alla fine anche io le porgo la mano. “Glielo dice anche lei a Paolo Fresu che è bravo e che è il nostro orgoglio?” mi chiede quando la Cappella è ormai vuota e tutti sono andati a pranzo.
Chi si è dato da fare per organizzare questo matinée è il dottor Angelo Palmas che oltre a essere un medico impegnato nella solidarietà è anche il Presidente dell’Ente Musicale di Nuoro dove da 23 anni organizzo i Seminari di jazz. Seminari fondati da Antonietta Chironi che era una grande cantante lirica e tradizionale e che se n’è andata troppo presto stroncata da un tumore. Ieri in ospedale c’era anche la sorella e mi ha fatto piacere salutarla. Antonietta non era solo una donna intelligente e acuta ma anche una grande artista. Personaggio influente della scena musicale sarda, di Nuoro e della sua Barbagia incarnava gli aspetti più forti e marcati. Era testarda e risoluta, fortemente attaccata alle tradizioni della sua terra e soprattutto alla sua musica. Come Maria Carta conosceva perfettamente il repertorio tradizionale e ne intuiva le potenzialità contemporanee in un momento storico in cui persisteva una divisione netta tra musica colta e musica etnica. Nell’88 mi chiese di proporle qualcosa da organizzare a Nuoro tramite l’Ente che lei stessa aveva fondato qualche anno prima e così sono nati i Seminari nei quali sono passati diverse migliaia di ragazzi e ragazze.
Anche molti dei componenti dell’Orchestra Jazz della Sardegna sono passati nei nostri Seminari e nella Grande Miniera di Serbarìu hanno indossato i caschi dei minatori. Rossi per le trombe, gialli per i tromboni, corni e ance quelli blu e ritmica variopinta. Io un casco giallo perché faceva pendant con la t-shirt della Cooperativa dei diversamente abili di Mantova che mettiamo in vendita tutte le sere mentre il Direttore d’Orchestra portava un casco con la luce a batteria a illuminare la partitura di George Gershwin.
Nel pomeriggio scendiamo nelle viscere della terra per un giro illustrativo sotto la guida esperta di Mauro Villani. La miniera di Serbariu è stata una delle più grandi risorse energetiche dell’Italia fascista e nel 1948 vi si svolse uno degli scioperi più lunghi della storia del nostro Paese e che durò 72 giorni. E’ stata definitivamente chiusa nel 1971 e solo a partire dai primi anni 2000 è stata convertita in uno straordinario museo che sottolinea bene cosa ha significato l’essere minatori in Sardegna e nel mondo in quegli anni. Quando riguadagnamo la luce dalla Lampisteria mi rendo conto di avere vissuto una emozione così solo ad Auschwitz. Il nero delle pareti della miniera, gli argani, i macchinari, i rumori, le foto, i video del Luce. Diciottomila persone che hanno fatto l’architettura di una città che non esisteva. Dodicimila minatori sotto terra con tre turni diversi. Turni impossibili al limite dell’umano. Nei locali delle docce alcuni ex-minatori hanno apposto l’impronta delle loro mani su un grande telo bianco. Nome, cognome, attività svolta in miniera, data di nascita. Molti di questi sono ancora in vita e hanno conosciuto tutto ciò che ora è in quel museo e che a noi sembra di un altro tempo. L’impressione è che un mondo a noi sconosciuto ritorni a galla dalle viscere della terra rendendoci una distanza abissale da noi stessi. Fino a quando non scendiamo in quel dedalo di cunicoli e gallerie a scoprire una vita sommersa.
All’ingresso di Serbarìu una frase di Mussolini. “Coloro che io preferisco sono quelli che lavorano duro, secco, sodo in obbedienza e possibilmente in silenzio”. Non è forse Auschwitz questo? Due scarpe da lavoro in mostra e alcune biciclette arrugginite d’improvviso mi hanno ricordato il Museo di Hiroshima. Mi chiedo se non è la ruggine a rendere uguali le tragedie del mondo. La nostra “Porgy & Bess” si consuma sopra quel dedalo di gallerie calpestato dalle scarpe di migliaia e migliaia di minatori.
Nel libro di Luciano Ottelli una frase di Henry James: “Il presente si vede solo di profilo. E’ il passato che abbiamo di fronte”. Ieri sera il passato era sotto di noi. Scrivo il mio nome sul libro degli ospiti. Libro enorme come quel formicaio di strade sotterranee che camminano sotto la Città di Carbonia. Nel sito del Museo tante piccole luci bianche sul nero infinito.
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