Il jazz rock secondo Mehldau
A Milano il progetto Mehliana, con Mark Giuiliana
Recensione
jazz
Brad Mehldau sembra nuovamente aver trovato la formula giusta dai tempi del trio con Larry Grenadier e Jorge Rossy. Nella capitale lombarda in duo con il giovane e talentuoso batterista del New Jersey Mark Giuiliana, dal frenetico e “nervoso” stile “m-base” (perfetto per rappresentare il rutilìo urbano), memore anche della più classica lezione blakeyana, e capace di lavorare brillantemente con l’elettronica, si è lasciato andare ad un meditato e affilato jazz rock (in molti momenti intenso, vibrante, saturato, dalle spettacolari e micidiali linee di “basso”), alle prese con sintetizzatori, moog (certo non le gigantesche macchine che una volta suonava Keith Emerson: qui siamo nel mondo del digitale che ricostruisce il suono analogico e il carattere di certe “meccaniche”), fender rhodes e pianoforte. I due hanno presentato diversi brani dal loro ultimo album (in studio un lavoro molto più asciutto, meno roboante e riverberante), pubblicato dalla Nonesuch nel febbraio di quest’anno, [i]Mehliana: Taming the Dragon[/i]. Niente di particolarmente innovativo - nel coinvolgente magma sonoro, dalle spiccate striature vintage, elaborato dal duo erano certo custodite le eredità del Keith Jarrett davisiano, degli Head Hunters di [i]Chameleon[/i], degli E.S.T. di Esbjörn Svensson, del Jason Moran più sperimentale, e non solo (pensiamo, per esempio, alle tastiere amplificate di Jon Lord, o ai divertissement di Joe Zawinul) -, ma l’impegno profuso, l’ispirazione e la qualità della musica espressa, ricapitolatrice di un intero mondo, con anche un’occhiata, pur forse solo in tralice, rivolta al futuro, sono state davvero degne di nota. Energici.
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