Il fortissimo maestro
Ornette Coleman ha incantato Berchidda, pur con qualche acciacco
Recensione
jazz
La XXIII° edizione del Time in Jazz di Berchidda, dal titolo programmatico “Aria”, prosegue il discorso, iniziato uno anno fa, dedicato ai quattro elementi naturali. Il 12 agosto Piazza del Popolo ha ospitato Ornette Coleman, il cui storico ritorno in Sardegna ha fatto registrare il tutto esaurito, a sottolineare il rapporto di grande amore fra questo fondamentale artista e l’isola. Coleman si è presentato con il suo quartetto stabile, completato da Tony Falanga al contrabbasso, Alie MacDowell al basso elettrico e Denardo Coleman alla batteria.
Difficile parlare con obiettività di questa esibizione dato il portato emozionale della sola presenza dell’ottantenne sassofonista texano, autore, comunque, di un concerto dignitoso, tra qualche difficoltà e improvvisi, appaganti guizzi di quella genialità che conosciamo. Anzitutto il suono, che si è fatto flebile e quasi sempre sopraffatto della batteria di Denardo, la cui escursione dinamica si colloca unicamente tra il ffff e il fff. Eppure un suono ancora capace di emozionare, tra fraseggi saltellanti e bluesy, improvvise salite e discese cromatiche, noticine starnazzanti e oblique, acuti ora incerti ora intonati con più decisione. L’eloquio è frammentato, la sintassi singhiozzante: siamo lontani, era lecito aspettarselo, dal flusso motivico continuo e ispirato di qualche anno fa. Coleman, visibilmente affaticato, suona prevalentemente seduto e presenta i brani con una vocina appena udibile al microfono: intorno a lui Falanga, fondamentale fornitore della pulsazione ritmica, McDowell a tessere continue trame di sostegno e Denardo, la cui attitudine ‘punkettara‘ - quasi sempre sopra le righe e quasi mai dentro il mood dei brani - lo conduce talvolta a creare paradossali, divertenti (non si sa quanto voluti) cortocircuiti. Se si esclude una rapinosa microcadenza solitaria di Coleman, la regola di questa musica è sembrata essere: nessuno, nel rispetto del proprio ruolo, taccia. Quindi, esposto il tema, niente assoli a turno ma continuo e creativo sostegno ad Ornette sia che si proponga al sax, alla tromba o al violino. Il repertorio ha spaziato da classici quali “This Is Our Music”, “Turnaround”, “Dancing in Your Head”, “Lonely Woman” a puntate verso Bach - la prima suite per violoncello - eseguita dal contrabbasso e felicemente ‘glossata’ dalle improvvisazioni degli altri tre. A fine concerto una fragorosa standing ovation ha salutato “il grande maestro” e, ci si passi la retorica, l’emozione è passata come un filo elettrico che ha stretto in una morsa tutti i presenti.
Interpreti: Ornette Coleman: sax, tromba, violino. Tony Falanga: contrabbasso. Alie MacDowell: basso elettrico. Denardo Coleman: batteria.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
jazz
A ParmaJazz Frontiere il rodato duo fra il sax Evan Parker e l'elettronica di Walter Prati
jazz
Il Bobo Stenson Trio ha inaugurato con successo la XXIX edizione del festival ParmaJazz Frontiere
jazz
Si chiude la stagione di Lupo 340 al Lido di Savio di Ravenna, in attesa di Area Sismica