Hersch, ritorno di classe
In trio a Brescia, il pianista newyorkese illumina la rassegna Jazz in Eden
Recensione
jazz
Le pelli sensibili di Eric McPherson scandiscono contagiosi ostinati; il sinuoso pulse ritmico delle corde di John Hebert punge corpo e mente; il le(vi)gato suono dei tasti bianconeri improvvisa l’introduzione danzante, appoggiato ad uno swing elastico dietro al quale si celano armonizzazioni complesse e linee contrappuntistiche delle mani. Inizia così, con l’ouverture a "You’re My Everything" ed un mood vicino a suono ed architettura dei trii di Ahmad Jamal, l’unica data italiana del tour europeo di Fred Hersch. Ma il pianista, tornato ad esibirsi dopo un coma ed una faticosa convalescenza, svela le regole di gioco del suo trio più recente scoprendo le carte – tutte carichi pesanti – a poco a poco. E se un rigoroso impianto formale non viene mai meno alla ricercata sostanza sonora, il prosieguo non lascia allo spettatore un solo momento di pausa, un solo attimo di ripiego verso un ascolto distratto; tanto che ci si meraviglia, infine, quanto una musica così attentamente strutturata possa comunicare aspettative sempre nuove, e lasciare un radicato senso d’impredicibilità. Si passa dunque dall’omaggio al "Sad Poet" Jobim, con il lungo vamp che esalta la ricerca polimetrica di McPherson, ad un’astratta habanera, che evidenzia la duttilità di Hebert nel solismo e nel dialogo costantemente serrato con il piano. "The Song is You", lentissima, riluce di nuove brillantezze nel rincorrersi delle linee pianistiche che stringono al canto spiegato finale, e autentica sorpresa è il "Forerunner" di Ornette Coleman, libero tema con variazioni cui le empatiche condotte sonore dei tre danno sviluppo e lustro. Dopo due brani di Shorter e l’amato Monk, sorpresa ulteriore è il clarinetto ospite di Nico Gori. Finale solitario con la tenera "Valentine", conclusione raccolta per un musicista raro.
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