Futuro al passato
Al Future Best Jazz il Besa Quartet
Recensione
jazz
È passato un secolo da quando alcuni complessi – in particolare a New Orleans – eseguivano un tipo di musica che miscelava il blues, il ragtime, gli spiritual, il cajun e la tradizione bandistica europea. Facevano "jass", come si soleva dire allora, e in quella fase primordiale il genere era caratterizzato da una polifonia collettiva con intrecci di più melodie. Oggi il Besa Quartet, come tante altre formazioni odierne, avvince per la qualità degli assoli e delle improvvisazioni dei singoli musicisti ed è quello che il pubblico si aspetta. Ciò che invece sorprende, sono alcuni passaggi di polifonia collettiva costruiti sull’intreccio melodico dei vari strumenti, come se un subconscio filo conduttore volesse di tanto in tanto recuperare quel filone che affonda le radici nel contrappunto del jazz delle origini.
La serata conclusiva del Future Best Jazz è stata impreziosita in questo modo dal prestigioso quartetto in una serata di pioggia in cui i continui lampi fungevano da scenografia naturale aldilà della galleria gremita di gente. Nella stessa sera si è esibito anche il Nguyên Lê Trio, mentre nei giorni precedenti hanno calcato il palco del festival The Dream of Butterfly, Paolo Giordano e la big band di Maurizio Rolli con Mike Stern.
L’esibizione del Besa Quartet ne è stata la degna conclusione, con passaggi mozzafiato e particolari soluzioni ritmiche; su tutti, una versione di “Why don’t I” di Sonny Rollins, ancora più agitata dell’originale. Ma la peculiarità retrospettiva – per le cover come per il resto – non è fatta con carta carbone o, per usare una metafora più consona a una recensione on line, con il copia-incolla. Vi è una padronanza e una coscienza delle infinite sfaccettature della storia del jazz, che dimostrano una vivace capacità rielaborativa e una tecnica sopraffina.
Interpreti: Jeff Berlin: basso, John Abercrombie: chitarra, Bob Sheppard: sax, Asaf Sirkis: batteria.
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