Essere Marko Marković
L'Orkestar di famiglia live all'Hiroshima
Recensione
world
Marković (padre) ha passato la direzione a Marković (figlio) qualche annetto fa: l’impresa, a gestione familiare, è la più rumorosa fanfara balcanica in circolazione. O almeno così dicono: l’ultimo cd uscito (significativamente intitolato Balkan Brass Battle, e dall’imperdibile grafica ultrakitsch) cercava appunto di stabilire un primato nei confronti dei rivali di Fanfare Ciocărlia. Se il disco confermava un vecchio adagio - cioè: le fanfare registrate rendono al 70 percento, a dir tanto - l’Orkestar vista dal vivo, all’Hiroshima Mon Amour in una gelida notte torinese, continua a fare al meglio quello che sa fare.
Da quando il rampollo Marko (classe 1988) ha le chiavi della fuoriserie del babbo, sembra divertircisi molto, aggiungendo all’orchestra quel po’ di sudore, di muscoli, di polmoni e di movimenti pelvici che Boban, ormai diretto verso i cinquanta, non può più permettersi. Il genitore osserva compiaciuto, suonando poco la tromba e cantando molto, e con voce ancora limpida. Se ora le influenze sono diversificate, compaiono qui e là qualche passaggio latin, un’attitudine rock e molto funk (pure una “I Feel Good” balkanizzata), l’impostazione generale non è poi così diversa. Piuttosto, l’Orkestar di Marko sembra aver sposato con decisione la scelta di rimanere party music: lo conferma il repertorio, che pesca a piene mani fra gli “evergreen” balkan che tutti, ma proprio tutti, vogliono ascoltare: “Mesecina”, “Gas Gas”, “Ederlezi”, e – naturalmente – “Kalashnikov”. Ma se Bregović (mente dietro molte di queste “hit”) ha oramai intrapreso una carriera da compositore quasi “colto” (per la verità, con risultati altalenanti), e altri colleghi (ad esempio, Fanfara Tirana) si sono dati a collaborazioni varie, dal jazz al folk di altre tradizioni, Marko continua a frequentare loschi figuri come Shantel. E, si sa, chi va col tamarro…
Insomma, essere Marko Marković non è mai stato così divertente: la classe per traghettare l’Orkestar oltre i cliché etilici del genere sembra esserci. In attesa…
Da quando il rampollo Marko (classe 1988) ha le chiavi della fuoriserie del babbo, sembra divertircisi molto, aggiungendo all’orchestra quel po’ di sudore, di muscoli, di polmoni e di movimenti pelvici che Boban, ormai diretto verso i cinquanta, non può più permettersi. Il genitore osserva compiaciuto, suonando poco la tromba e cantando molto, e con voce ancora limpida. Se ora le influenze sono diversificate, compaiono qui e là qualche passaggio latin, un’attitudine rock e molto funk (pure una “I Feel Good” balkanizzata), l’impostazione generale non è poi così diversa. Piuttosto, l’Orkestar di Marko sembra aver sposato con decisione la scelta di rimanere party music: lo conferma il repertorio, che pesca a piene mani fra gli “evergreen” balkan che tutti, ma proprio tutti, vogliono ascoltare: “Mesecina”, “Gas Gas”, “Ederlezi”, e – naturalmente – “Kalashnikov”. Ma se Bregović (mente dietro molte di queste “hit”) ha oramai intrapreso una carriera da compositore quasi “colto” (per la verità, con risultati altalenanti), e altri colleghi (ad esempio, Fanfara Tirana) si sono dati a collaborazioni varie, dal jazz al folk di altre tradizioni, Marko continua a frequentare loschi figuri come Shantel. E, si sa, chi va col tamarro…
Insomma, essere Marko Marković non è mai stato così divertente: la classe per traghettare l’Orkestar oltre i cliché etilici del genere sembra esserci. In attesa…
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