È stato un sogno fantastico
diario del 2 agosto
Recensione
jazz
Forse non è successo niente. E’ stato solo un sogno fantastico e ora ci si ritrova nuovamente soli a fare la vita di sempre.
La mia tra palchi e scene grandi e piccole, teatri di metropoli, di città e di paesi. Jazz club e auditorium, basiliche e piazze con gente che viene e si siede in una comoda poltrona e tu arrivi, fai un inchino fatto mille altre volte e loro applaudono, nella loro sedia comoda.
“!50” sono stati giorni intensi. Passati a calpestare la terra nuda dei villaggi nuragici e dei templi, la rena immacolata delle cale, i rovi dei pascoli incolti e le pietre delle miniere.
Giorni di cieli intensi e notti blu notte. Tramonti mozzafiato dietro basalti, graniti e graniti, montagne e altipiani, colline e pianure e giorni e notti di gente straordinaria che ci ha accompagnato in questa avventura folle al punto che sembra non sia mai esistita tanto è stata forte e profonda. Profonda come i mille e mille suoni fabbricati dai musicisti di tutto il mondo e forte e intensa quanto le storie vissute in questo viaggio commuovente. Sono le storie di Bachis di Belvì che nel “Cafè l’Edera” organizza reading e concerti, di Graziella e Gianfranco genitori di Mathias che con i suoi organi donati ha salvato le vite degli altri, dei medici di Bosa che con la solidarietà costruiscono ospedali nelle Filippine, di Fabrizio di Berchidda che a dodici anni suona nella Banda ed è figlio di pastori che lui chiama “imprenditori agricoli” perché essere pastori oggi non è una grande cosa, del tunisino senza nome che dorme sul suo furgone con scritto “Dakar tour” in viaggio sul traghetto da Carloforte a Calasetta e che è talmente lungo che i piedi nudi escono dal finestrino e lui ama la Sardegna perché gli ricorda l’Africa, di Tzia Chischedda di Orani che ha 102 anni e che si è vista tutto il concerto dedicato a Titinu Nivola in fardetta. E ancora di Caterina, Mariuccia e Nunzia del Cottolengo di Bosa ti entrano dentro con lo sguardo e lì si installano e non se ne vanno più o dei detenuti di Sassari e di Quartucciu che ti dicono “ritorna”. Di Candida di Mogorella che ha perso un figlio che amava la musica e il Monte Grighine con il silenzio delle sue pale eoliche e di Pinuccia del reparto di psichiatria dell’Ospedale di Nuoro che ha compiuto gli anni e gli ho dedicato “No potho reposare” e tremava e piangeva quando gli ho fatto l’autografo su un fazzoletto da naso. O forse non è vero niente e resta un sogno troppo bello. Perché tutto in “!50” è stato così grande che la mente ha bisogno di un reset e vuole cancellare per poter ricordare con l’emozione, quando le parole non ce la fanno e non restano che i suoni indistinti, le luci degli occhi visti e la sensazione tattile delle mani toccate e di un grazie detto col cuore o con un filo di voce.
Mani ruvide di pastori che conoscono a memoria libri interi come Priamo di Ollolai, di bambini e di persone normali che si chiedono come noi perché le cose devono finire. Mani di Sindaci, Assessori, Presidenti di Pro Loco, Garibaldini, Alpini, uomini della Protezione Civile, della Croce Rossa, Corpo Forestale. Mani di malati e di disabili che sorridono e non devono dire perché basta una stretta di mano a farti chiudere la gola e a sentirti vivo. Tu e loro. Mani, visi e sguardi che valgono più di qualsiasi cosa e più di qualsiasi suono quando questo si apre al mondo e squarcia le nubi basse e minacciose che mai ci hanno impedito, per cinquanta giorni, di esserci con l’energia fisica e con quella prodotta da noi stessi per rispettare il pianeta che ci ospita. E’ ciò che abbiamo appreso. Per raccontare ciò è stato a noi stessi prima che agli altri. Perché da ieri siamo più tristi ma più ricchi dentro. Non solo io ma tutti coloro che hanno lavorato incessantemente e con amore a questo progetto del quale noi stessi non sapevamo.
E’ stato bello ripercorrere la Sardegna dall’alto di ciò che abbiamo vissuto così intensamente e scoprire dopo cinquanta giorni che c’è un altro Continente neanche poi così tanto lontano. Grazie e a tutti e grazie alla Sardegna. Così martoriata, così straordinariamente bella e viva.
Giorni di cieli intensi e notti blu notte. Tramonti mozzafiato dietro basalti, graniti e graniti, montagne e altipiani, colline e pianure e giorni e notti di gente straordinaria che ci ha accompagnato in questa avventura folle al punto che sembra non sia mai esistita tanto è stata forte e profonda. Profonda come i mille e mille suoni fabbricati dai musicisti di tutto il mondo e forte e intensa quanto le storie vissute in questo viaggio commuovente. Sono le storie di Bachis di Belvì che nel “Cafè l’Edera” organizza reading e concerti, di Graziella e Gianfranco genitori di Mathias che con i suoi organi donati ha salvato le vite degli altri, dei medici di Bosa che con la solidarietà costruiscono ospedali nelle Filippine, di Fabrizio di Berchidda che a dodici anni suona nella Banda ed è figlio di pastori che lui chiama “imprenditori agricoli” perché essere pastori oggi non è una grande cosa, del tunisino senza nome che dorme sul suo furgone con scritto “Dakar tour” in viaggio sul traghetto da Carloforte a Calasetta e che è talmente lungo che i piedi nudi escono dal finestrino e lui ama la Sardegna perché gli ricorda l’Africa, di Tzia Chischedda di Orani che ha 102 anni e che si è vista tutto il concerto dedicato a Titinu Nivola in fardetta. E ancora di Caterina, Mariuccia e Nunzia del Cottolengo di Bosa ti entrano dentro con lo sguardo e lì si installano e non se ne vanno più o dei detenuti di Sassari e di Quartucciu che ti dicono “ritorna”. Di Candida di Mogorella che ha perso un figlio che amava la musica e il Monte Grighine con il silenzio delle sue pale eoliche e di Pinuccia del reparto di psichiatria dell’Ospedale di Nuoro che ha compiuto gli anni e gli ho dedicato “No potho reposare” e tremava e piangeva quando gli ho fatto l’autografo su un fazzoletto da naso. O forse non è vero niente e resta un sogno troppo bello. Perché tutto in “!50” è stato così grande che la mente ha bisogno di un reset e vuole cancellare per poter ricordare con l’emozione, quando le parole non ce la fanno e non restano che i suoni indistinti, le luci degli occhi visti e la sensazione tattile delle mani toccate e di un grazie detto col cuore o con un filo di voce.
Mani ruvide di pastori che conoscono a memoria libri interi come Priamo di Ollolai, di bambini e di persone normali che si chiedono come noi perché le cose devono finire. Mani di Sindaci, Assessori, Presidenti di Pro Loco, Garibaldini, Alpini, uomini della Protezione Civile, della Croce Rossa, Corpo Forestale. Mani di malati e di disabili che sorridono e non devono dire perché basta una stretta di mano a farti chiudere la gola e a sentirti vivo. Tu e loro. Mani, visi e sguardi che valgono più di qualsiasi cosa e più di qualsiasi suono quando questo si apre al mondo e squarcia le nubi basse e minacciose che mai ci hanno impedito, per cinquanta giorni, di esserci con l’energia fisica e con quella prodotta da noi stessi per rispettare il pianeta che ci ospita. E’ ciò che abbiamo appreso. Per raccontare ciò è stato a noi stessi prima che agli altri. Perché da ieri siamo più tristi ma più ricchi dentro. Non solo io ma tutti coloro che hanno lavorato incessantemente e con amore a questo progetto del quale noi stessi non sapevamo.
E’ stato bello ripercorrere la Sardegna dall’alto di ciò che abbiamo vissuto così intensamente e scoprire dopo cinquanta giorni che c’è un altro Continente neanche poi così tanto lontano. Grazie e a tutti e grazie alla Sardegna. Così martoriata, così straordinariamente bella e viva.
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