Dire sì all'electro-pop
All'esordio italiano i newyorkesi Yeasayer conquistano il Tunnel con la loro nuova vena funk
Recensione
pop
«Vogliamo che i nostri pezzi siano potenti, che il dj possa metterli subito dopo un pezzo di Rihanna senza che si noti la differenza» aveva dichiarato Ira Wolf Tuton, bassista degli Yeasayer, in una recente intervista al “giornale della musica” (sul numero di marzo 2010). Testati sul campo nel loro esordio milanese (seconda di due date in Italia, la prima a Roma il 13 marzo) negli intimi spazi del Tunnel, affermiamo con sicurezza: missione compiuta. Il trio di Brooklyn (che dal vivo si presenta in quintetto con batterista e tastierista-percussionista aggiunto) aveva esordito nel 2007 con “All Hour Cymbals”, folgorante esperimento di psichedelia cosmopolita e fricchettona. La nuova via, tracciata anche discograficamente con il fresco “Odd Blood”, prevede invece un electro-funk ricercatamente demodé (ma non troppo!), che guarda al suono elettronico della dance anni Novanta: lo conferma anche l’opening act, lasciato al travolgente Hush Hush, barbuto americano-berlinese che saltella su ritmi disco-funk.
Per la band di Brooklyn il punto di incontro e sintesi tra la psichedelia acida e l’electro-pop passa per l’abuso di delay e riverberi e per le armonizzazioni vocali a cappella, che evocano contemporaneamente Bee Gees e Crosby Stills & Nash. Il live però, scopriamo immediatamente dopo il violento inizio con “The Children”, insiste più sulla violenza electro che non sullo “sciallo” psichedelico. I tre palleggiano campioni saltellando tra synth d’annata, chitarre effettate e vocoder. La scaletta incalza sulle canzoni di "Odd Blood", e anzi si permette poche incursioni nel primo album: complice la puntualità milanese (alle 23 tutti a casa, dopo un’ora appena di concerto) rimane fuori il singolo “2080”. Ma non è solo questione di tempo: anche il classico “Sunrise”, tritato dal nuovo mood del gruppo, da inno lisergico diventa quasi una cupa ballad, lacerata da violenti bassi elettronici.
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