Dieci anni a Loano

Si è concluso il Premio dedicato alla musica tradizionale italiana

Recensione
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È arrivato fino al decennale il Premio Nazionale Città di Loano per la Musica Tradizionale Italiana: sarebbe interessante fare il conto di quanti musicisti siano passati per i suoi palchi, ma non credo che gli organizzatori (la Compagnia dei Curiosi, che – come suggerisce il nome – è un’associazione di entusiasti dalle orecchie ben aperte) abbiano fatto questo conto. Forse, nel loro tipico understatement ligure, neanche ci hanno pensato. Hanno pensato – invece, e felicemente – di raccoglierne molti in una mostra fotografica per la via principale del centro storico, con i bellissimi scatti di Silvio Massolo e Martin Cervelli.

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Sarebbe anche più interessante provare a contare chi non ci è passato, per i palchi del Loano. Con altri membri della giuria ci abbiamo provato: i nomi (almeno, i “grossi” nomi) sono davvero pochissimi, e si proverà a rimediare nei prossimi anni. Chi dovesse, un giorno, scrivere la storia della musica tradizionale italiana in questo primo scorcio di secolo – in ogni suo “filone ideologico”: il revival, la “world music”… - dovrebbe probabilmente partire dai programmi del Premio Loano.

Più nell’immediato, a chi scrive del (piccolissimo) mondo della musica popolare, il Loano permette di fare il punto sulla stagione passata, e magari di recuperare qualche ascolto mancato. Il Premio 2014 (assegnato da una giuria di giornalisti) è andato a Rita Botto e Banda di Avola, per il cd Terra can nun senti: la cantante catanese e la giovanissima banda diretta dal maestro Sebastiano Bell’Arte si sono esibiti nella serata finale, produzione originale del festival dedicate alle voci femminili, insieme a Spakka-Neapolis55, Le Balentes, Paola Lombardo, di fronte alla platea del Giardino del Principe, gremita nonostante si temesse per l'assenza del nome di richiamo (gli scorsi anni, la chiusura era toccata a Capossela, al progetto Passione di Turturro, al duo Sparagna - De Gregori...).

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Ma il tema della donna (nella tradizione, e non solo), ha attraversato tutta la rassegna, a partire dal bel concerto-incontro pomeridiano di Eleonora Bordonaro (“raccontato” da Ciro De Rosa) dedicato ad un’antologia di grandi cantatrici della tradizione italiana, partendo da Rosa Balistreri fino a Teresa Viarengo, passando per Maria Carta, Concetta Barra, Giovanna Daffini… Si può (e si dovrebbe) fare divulgazione sulla musica popolare, e si può fare senza essere pedanti, noiosi, o accademici: i molti curiosi fermatisi, in transito di ritorno dalla giornata in spiaggia (gli incontri e i concerti si tengono sempre sul lungomare) lo dimostrano. Altrettanto successo hanno avuto gli altri incontri: quello sulle “voci della città”, condotto da Enrico De Angelis e dedicato a cantanti e cantautrici di contesto “urbano” (Laura Betti, Milly, Gabriella Ferri…); quello con Mimmo Cavallaro, che ha presentato il suo nuovo lavoro Sacro et profano (CNI), dedicato alle musiche della sua Calabria; e quello di Silvio Peron, incentrato sulle storie e sui personaggi delle valli occitane, raccolte nel cd Eschandihà de vita .

Fra gli appuntamenti serali, ha entusiasmato il pubblico il concerto di Mimmo Epifani. Il mandolinista pugliese ha mostrato soprattutto come fare musica (“di tradizione”, ma non solo) significhi anche sapersi adattare: il palco sul lungomare, in un ambiente naturalmente dispersivo, deve saper essere interpretato. Non tutto funziona, insomma: dopo un inizio moscio, Epifani accelera, “capisce” il pubblico e lo conquista con malizia da professionista, passando disinvoltamente da una bellissima versione di “Reginella” a “La donna riccia”, a un abbozzo di “Ma se ghe penso” (!), a “Pasqualino Marajà”, a “Quant’è bello lu primmo ammore”… ma anche ricordando e cantando Matteo Salvatore, e offrendo un’immagine mai stereotipata di quelli che oramai sono – nel bene e nel male – degli standard del repertorio pugliese. Come dire, si può essere “furbi” (si deve!) e insieme proporre musica di qualità, lontana anni luce da molta di quella “taranta” da esportazione che infesta le notti estive, a nord e a sud. Finale con gente in piedi, balli di gruppo e trenino.

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Agli antipodi della proposta di Epifani ci sono i piemontesi Din Dùn, cioè Alessandra Patrucco alla voce, Angelo Conto al pianoforte e Francesco Busso alla ghironda. Per loro fortuna, forse, costretti in biblioteca da una serata non proprio mite: il trio propone una rilettura intima e cameristica di brani della tradizione dialettale piemontese, incentrata sul dialogo fra il pianoforte (ben sfruttato in ogni possibile colore, anche agendo direttamente sulla cordiera) e la ghironda elettroacustica, anch’essa trasformata in strumento “totale”, ora usata ritmicamente, ora quasi come un violino, sulla scia di alcune sperimentazioni - francesi soprattutto. Se l’idea è ottima e ben giocata per lunghi tratti, il trio si fa talvolta prendere la mano con lunghe code di improvvisazione vocale, che snaturano l’essenza minimale “da camera”, e che alla lunga risultano un po’ stucchevoli. Quando si lavora di sottrazione, invece, di incastri fra strumenti e voce, tutto fila più liscio. In apertura di serata si ha avuto la consegna del Premio Realtà Culturale al ricercatore Mauro Balma, per il suo ultratrentennale lavoro sulle tradizioni (soprattutto) di area ligure e appenninica.

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Nessuno si stupirà di sapere che il momento più alto del festival si è avuto con il concerto di Peppe Barra, premiato alla carriera in occasione – anche – del suo settantesimo compleanno. È bello quando si constata come un “artista” - nel senso più ampio del termine: Barra trascende di molto la semplice dimensione musicale – è in grado di scardinare ogni definizione di genere. O quando, più probabilmente, è in grado di incarnare la tradizione musicale napoletana e campana nella contemporaneità, come qualcosa che sta ancora succedendo: solo Barra può permettersi di cantare certe cose senza cadere nei cliché, senza sembrare kitsch. In scaletta compaiono omaggi alla madre, ad Antonio Petito, brani della tradizione più nota (“La pansé”), altri firmati da autori di oggi (Gragnaniello, ad esempio), una poesia “proibita” di Vincenzo Russo… Ma anche “Lo shampoo” di Gaber e – perfino – una cover napoletana di “No Woman No Cry”... Tutto tenuto insieme dalla classe di interprete di Barra e della sua band.

Al di fuori di ogni retorica, il successo di pubblico che il Loano raccoglie ogni anno dovrebbe far riflettere soprattutto gli organizzatori di eventi e gli enti locali: si può conciliare un discorso culturale con la necessità di coinvolgere un pubblico necessariamente non specializzato. La chiave sta – appunto – nella volontà di fare della divulgazione, a più livelli. A Loano esiste un pubblico di turisti "da mare" che torna di anno in anno con la voglia di ascoltare qualcosa di nuovo, e che spesso compra i dischi degli artisti che sente. Questa è una “politica culturale”, che è per giunta naturalmente compatibile con le tanto fondamentali politiche turistiche. Per i prossimi dieci anni si dovrà investire di più su questa linea, e trattare il Loano per quello che è: non un momento nell’offerta estiva di una cittadina balneare, ma un evento di portata nazionale (almeno), che deve mettersi in grado di poter attirare sempre di più turisti “culturali”. Quelli che prima vanno ai concerti, e poi - perché no - a farsi un bagno. Sarebbe un peccato, e uno spreco, non farlo.

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