Dead Rat Orchestra dal folk a Cage

Il gruppo inglese ha inaugurato l'edizione 2019 del Piedicavallo Music Festival

Dead Rat Orchestra
Recensione
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Piedicavallo (BI)
Dead Rat Orchestra
28 Luglio 2019

Nel suggestivo borgo di Piedicavallo, in cima alla biellese Valle Cervo, dove la parte bassa dell’adiacente Val di Gressoney sembra aver sviluppato come una sorta di surreale alternativa quantica, innervata dalla magica e caratteristica pietra verde del luogo, si è svolto il concerto di inaugurazione della XXIX edizione del Piedicavallo Music Festival, ampia itinerante manifestazione musicale, che si svilupperà principalmente nel mese d’agosto (ma non solo), con molta classica e però aperta alle più svariate sonorità e alle molteplici declinazioni musicali, che da sempre coltiva un rapporto speciale con il paesaggio (la bella media montagna attorno a Biella), alla meritoria ricerca di un equilibrio, un connubio, a tratti una vera e propria consonanza di affetti, tra musica e natura. 

A inaugurare il festival, all’interno del piccolo accogliente Teatro Regina Margherita di Piedicavallo, sono stati gli affabili britannici Daniel Merrill (fiddles, oud, percussioni, effetti, eccetera) e Nathaniel Mann (voce, banjo, mbira, percussioni, effetti, eccetera), esponenti dell’ipnotica Dead Rat Orchestra, straordinario ensemble di avant folk (potremmo dire) totale, intessuto sì di caratteristico e suggestivo british tinge e però aperto al mondo e all’universo delle infinite possibilità soniche. 

Un avant folk fantasioso e visionario, il loro, primitivo, ruvido, profondo, essenziale e al contempo moderno, ovverosia attuale, imprevedibile e contemporaneo (nel senso di “aleatorio” e concreto: come mettere d’accordo Martin Carthy e Dave Swarbrick con John Cage e magari Edgard Varèse), e poi ancestrale e futuristico, colto e popolare, formulare ed improvvisato (anche in modo jazzisticamente radicale), eternamente in fieri, nell’ottica di una tradizione che non ha tempo di cristallizzarsi, perché in continua e necessaria trasformazione. 

In un set avvincente, intenso e magnetico, intessuto di colpi di scena, denso di suoni e “rumori” – dalle interferenze di una scassata radiolina a transistor alla nenia circolare di una specie di carillon giocattolo, dall’uso di suggestivi ed aerei sonagli per colombi all’efficace tamburellare sulla copertina rigida di un hemingwayiano taccuino rosso, passando per sferzanti, inquietanti, incredibilmente “intonati”, colpi d’accetta, poliritmicamente impressi su tronchi d’albero reperiti lì per lì (un po’ alla maniera degli americani ed esoterici The Black Twig Pickers) – Merrill e Mann hanno in primis dimostrato d’essere degli immaginifici performers, poi degli abili e coraggiosi musicisti, oltre che dei coinvolgenti storytellers, abituati a confrontarsi con il potere della parola e ad “orchestrare” sapientemente lo sviluppo della narrazione (anche strettamente scenica), e non da ultimo ovviamente dei grandi innovatori della tradizione – magnifica, per esempio, la loro versione della murder ballad "Two Brothers" eseguita singolarmente all’arabo oud, con Mann molto bravo a trasmettere attraverso il canto la drammaticità degli eventi, e commovente, nel finale, la sorprendente proposizione di una rara versione alternativa (in specie sul piano melodico), recuperata proprio ultimamente, della celebre "Scarborough Fair". 

Una Dead Rat Orchestra che nel corso del live ha avuto modo di presentare brillantemente anche alcune delle sue più recenti, avventurose, maggiormente strumentali e originali imprese musicali: dalla fresca collaborazione con il versatile chitarrista e ricercatore inglese C Joynes nell’elaborazione del suo ultimo surreale album, dedicato a un asiatico albero mitologico dalle incredibili caratteristiche sia animali che vegetali (il tartaro Borametz Tree), all’evocazione delle sperimentali tournée, lo scorso anno, al fianco delle stralunate Sutari, terzetto polacco tutto al femminile, fino alla riproposta di qualche stralcio della sospesa e crepuscolare colonna sonora “composta” qualche anno fa (direttamente dal vivo in realtà) per Tyburnia, film documentario del 2015, ad opera del regista e ricercatore James Holcombe, incentrato sulla storica forca di Tyburn (e sulle influenze che ancora oggi quella brutta storia è in grado di esercitare), famigerato villaggio del Middlesex, tristemente noto per essere stato per secoli il luogo deputato dal potere politico, per inscenare le sue plateali, dimostrative e sciagurate esecuzioni capitali pubbliche. 

Un concerto da ricordare. 

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