Craig Taborn e Dave King, entusiasti eroici
Il duo Heroic Enthusiasts di Craig Taborn con Dave King (Bad Plus) al Ferrara Jazz Club
Incontro tra titani quello andato in scena sul palco del jazz club più bello d’Italia, al Torrione di Ferrara, con Craig Taborn ai tasti e Dave King (Bad Plus) ai tamburi. Un flusso pressoché ininterrotto di un’ora abbondante dove i due musicisti di Minneapolis (già insieme in Junk Magic, punto di partenza per questi allunaggi risalente al 2004, oltre che nel quartetto più recente) hanno sondato possibilità e impossibilità di un dialogo a due che ha alternato lampi di bellezza feroce e appuntita a momenti più interlocutori.
Se King (un set classico il suo, arricchito da un pad elettronico di cui forse si poteva fare a meno) a volte è stato un po’ troppo rumoroso e didascalico, Taborn, sul cui talento non ci sono discussioni (Chants del 2012, in trio, è un disco fantastico, e anche l’ultima esibizione in quartetto al Jazz & Wine di Cormòns nel 2017, con lo stesso King, oltre a Chris Speed e Chris Lightcap, aveva davvero convinto tutti), da un lato mostra una versatilità notevole (sul palco contiamo ben otto sorgenti di suono: un piano a coda, un Fender Rhodes, un paio di sequencer, quattro synth, effetti vari e un mixer per gestire il tutto), dall’altro però talvolta,complice qualche inghippo tecnico, è troppo impegnato a orientarsi in questa vera e propria selva di strumenti e perde parzialmente di vista l’ispirazione.
Un set molto articolato da cui Taborn sa estrarre vere e proprie perle, con suoni luminescenti e futuristici, ma alla ricchezza timbrica non sempre corrisponde una pari efficacia espressiva. In qualche frangente la cantabilità e la nitidezza armonica sono quelle di un Bach rinchiuso dentro una botte lasciata rotolare a tutta velocità giù per un pendio ripidissimo, in altri momenti invece il discorso si fa meno musicale, pendendo verso un drive anfetaminico e virtuosistico che lascia storditi ma non pienamente convinti. Quando invece gli spazi si aprono e le dinamiche indulgono al piano e al pianissimo pare di stare in una placida radura dove assorti profili di Buddha svettano in un piano sequenza che ha il respiro di una meditazione vagamente allucinata.
Non è sempre semplice gestire le dicotomie logorrea-afasia e improvvisazione-struttura, e la lingua che parla il duo durante la serata ferrarese è torrenziale ma non sempre fluida. Tra languori quasi jarrettiani e asprezze memori del Cecil Taylor più scontroso, questa lunga esplorazione vive di satori improvvisi, di (inevitabili?) pause nell’ispirazione, con il pianista, perennemente indaffarato a gestire manopole, pedali (con un controllo tecnicamente stupefacente), a guidare l’esplorazione tra momenti più informali e bozzetti di elettronica free dal mood sempre profondamente urbano, come ascoltare cento conversazioni su cento taxi diversi una sera di pioggia a New York.
Poi planiamo senza soluzione di continuità in un electro jazz balbuziente, debitore del magma cosmico del Miles altezza Agartha fino a lambire lidi ambient-pop su un tema semplice e (fin troppo?) cantabile. Nel mezzo, altre mille ipotesi, tra fragori rock, fibrillazioni ed extra sistole ritmiche come gli Autechre, hip hop mutante come nei Beat Kids di Guillermo E.Brown o più in generale in diverse produzioni Thirsty Ear, un frammento proprio da Chants con una linea di basso suonata al piano, acuminata e imprendibile.
Nel complesso, un concerto interessante ma che non ci ha regalato tutti i brividi che era lecito aspettarsi. Nel bis, "Love in Outer Space", un omaggio a quello che Taborn definisce il suo eroe musicale assoluto, Sun Ra.
D’obbligo comunque tornare a vederlo il 26 aprile, quando tornerà tra le mura del bastione rinascimentale del Ferrara Jazz Club nella formazione Starebaby del batterista Dan Weiss, affiancato da altri grandi musicisti tra cui un altro pianista che ci piace parecchio, Matt Mitchell.
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