Corde acustiche, lingua madre
La nuova edizione dell'Acoustic Night del chitarrista Beppe Gambetta a Genova
Ogni anno il chitarrista e compositore Beppe Gambetta, maestro indiscusso della tecnica flatpicking, ma anche attento ricercatore nel gran mazzo delle musiche acustiche in transito tra vecchia Europa e Americhe, storia di andate e ritorni, allestisce al Teatro Nazionale di Genova dedicato a Ivo Chiesa diverse serate consecutive tematiche.
– Leggi anche il racconto dell'Acoustic Night 2022 e 2021
Sono sempre occasioni uniche per vedere riuniti sul palco specialisti delle corde, ma qui non vale la logica quantitativa dell’accumulo, né quella del nome commerciale a tutti i costi: il piccolo miracolo che richiede molto, molto lavoro alle spalle è riuscire a riempire il grande teatro per diverse sere consecutive con un concerto di alto profilo, e sempre tematico.
Il focus di quest’anno, ventitreesima edizione, è ben esemplificato dal titolo scelto: Lingua Madre.
Uno sguardo a quelle lingue minoritarie che, tutte assieme, ricostruiscono la trama fitta di un’umanità varia, generosa, propositiva, attenta ai legami e alle connessioni con gli altri. Il contrario insomma del vacuo, stentoreo campanilismo che mette sempre le proprie cose, usanze, pratiche di vita, credenze e lingue al di sopra di quelle degli altri.
Due i giochi di rimbalzo tra sponde marine concepiti da Gambetta per Lingua Madre: il primo, tra Italia e Canada, nelle due diverse articolazioni di madre lingua del francese del Quebec impersonato dal giovane François- Félix Roy, ventitré anni di grazia sorridente e classe strumentale e vocale, a chitarra e mandolino, e Aysanabee, chitarrista e impetuoso vocalist a rappresentare le “first nations” canadesi, quelle provate dall’etnocidio (e spesso dai puri e crudi omicidi) perpetuato dai bianchi in quelle terre fredde e sublimi.
Il secondo gioco di sponda Gambetta l’ha concepito tra la propria doppia identità di genovese imbevuto di suoni acustici “roots” del Nordamerica e del Sudamerica, e quella di Matteo Leone da Calasetta: che è una delle tre realtà linguistiche genovesi della Sardegna, dove s’è conservato l’antico parlare tabarchino, un genovese ponentino che risale agli anni di Andrea Doria e alla colonia cinquecentesca dell’Isola di Tabarka, in Tunisia. Mantenuto in vita a dispetto di mille peripezie storiche fino ad oggi.
Doppia insularità di Lingua madre, dunque: un ragazzo sardo che parla genovese, o un genovese di humus sardo, a seconda di come la vedete. Peraltro mai approdato su un palco della Città della Lanterna. C’erano dunque tutti presupposti perché la serata fosse scintillante e di grande interesse, e così è stato, nella perfetta regia del lungo show in due tempi concepito da Gambetta con la consueta perizia organizzativa strategica di Federica Calvino Prina.
Dunque un’articolazione oliata in due tempi tra prove in solo, duetti, trii, quartetto al completo, e molte sorprese emozionanti. Aysanabee, quarantaquattro ore di viaggio a Nord di Toronto per raggiungere le sue terre di Oji – Cree, Ontario occidentale, suona la chitarra acustica perlopiù con una prodigiosa tecnica percussiva di tapping riarticolata sul continuo controllo timbrico di una pedaliera: lì innesta la sua voce bluesy e soul, a raccontare le storie e le parole native residue raccolte nel lockdown dal nonno Watin, da Sandy Lake, prima che scomparissero.
François- Félix Roy è quasi il suo complemento estetico: dolcissimo e leggero, voce flautata e un tocco fatato su chitarra e mandolino, a raccontare storie di Quebec che, a sorpresa, incorporano anche apporti di danza italiana.
E poi Matteo Leone, nomen-omen: chitarrista mancino possente abituato a suonare con le corde rivolte al contrario, per lui, a prezzo di bizzarre torsioni del polso, ma con esiti da poderoso desert blues pentatonico. Dalla sua poi ha una voce incantevole con bassi potenti come quelli di Faber o di Cohen: quando ha attaccato "No Potho Reposare" è calato il silenzio. E che dire di una "Dove Tia o vento" di Gambetta, con le strofe affrontate a turno ognuno nella sua speciale forma di genovese? Bellezza pura.
Come quella di una riscoperta “Mis Amour” per far omaggio a un passato lontanissimo, a un’altra lingua minoritaria, e un grande già citato: era una “murder ballad” medievale ben conservata nella lingua d’oc provenzale, la volle ricantare Fabrizio De André in un raro disco dei Trovatori di Coumboscuro. Sul palco, in quartetto, diventa uno squarcio sul tempo e i luoghi vertiginoso. Gambetta trova modo di proporre anche la nuova, struggente "Terra Madre", poi arriva un corale bis su "Fiume Sand Creek" da lucciconi, e un ritorno richiesto sul palco per tutti: stavolta è il "Tabarka Blues" di Leone, e i confini geografici davvero si dissolvono, in un’unica Lingua Madre.
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