Capitan Capossela
Non delude il tour di "Marinai, profeti e balene", approdato al Regio di Torino
Recensione
pop
«Non avvisteremo terra per un po’. Ci saranno apparizioni, mostri, ma niente in confronto alla realtà odierna». È l’avviso del capitano (capitano? Ammiraglio, semmai) Capossela all’avvio del concerto – sold out – al Teatro Regio di Torino, fra le prime date del tour del doppio, monumentale “Marinai, profeti e balene”. Intervistato sul numero di maggio del “giornale della musica”, Capossela aveva in effetti anticipato che «un disco come questo non lascia tanto spazio al resto, dev’essere veramente come farsi un viaggio». Un viaggio che è un odissiaco tour de force, che – mischiando la scaletta – arriva a riproporre per intero il doppio disco. Avendo una band fra le migliori in circolazione (quanti possono vantare una sezione fiati composta da Mauro Ottolini e Achille Succi?), Capossela può permettersi di tentare di replicare dal vivo la giostra di suoni creata su disco: lo fa con abbondante uso di campioni, non riuscendo sempre a mettere perfettamente a fuoco tutti i brani (alcune cose, ovviamente, si perdono: ad esempio, nei brani “cretesi” viene a mancare la profondità del lauto, sostituito qui dal baglama turco) ma non cadendo mai nelle secche dell’imitazione. Anzi, tutto suona piacevolmente più sporco: il blues di “Billy Budd”, raddoppiata di velocità, “Polpo d’amore” (eseguita con tanto di costume da polipo), lo sfogo elettrico di “Job”, il duetto sega-theremin di “Pryntil”… In alcuni punti affiorano contatti con il freak show che aveva caratterizzato il Da Solo Tour: allora dallo scheletro di balena in cui si stringono i musicisti (uno scheletro mobile: ora costole, ora chiglia di nave, ora tentacoli da polpo) appaiono ciclopi (la splendida “Vinocolo”), organetti di barberia (per “Goliath”, ispirata, appunto, da un fenomeno da baraccone: una balena impagliata che girava l’Europa in un container), marinai incatenati. Alla fine si approda, e Vinicio bacia la terra (o meglio: il proscenio) per la fine del viaggio. «Raccoglieremo ancora qualche relitto sparso» annuncia, e infila per contentare tutti “Come una rosa”, “Scivola vai via”, “L’affondamento del Cinastic”, “Che cos’è l’amor” in un esilarante mash-up con “E la barca tornò sola” di Carosone e una cover di “When the Ship Come In” di Dylan. C’è ancora tempo per un bis sovvertitore, che causa l’invasione delle poltronissime da parte dei settori popolari, con – tra le altre - “L’uomo vivo” e una versione quasi Bad Seeds di “Il ballo di San Vito”. «Il grande Renzo Fantini [che lanciò Capossela] diceva sempre che faccio concerti troppo lunghi» dice, allo scoccare della terza ora Vinicio mentre si appresta a chiudere, davvero, con “Le sirene”. «”Devi lasciargli la voglia di tornare”, diceva. Ma sono io che non ho voglia di andarmene».
Interpreti: Vinicio Capossela: voce, chitarra, pianoforte; Mauro Ottolini: ottoni; Achille Succi: ance e fiati; Alessandro "Asso" Stefana: chitarre, banjo...; Glauco Zuppiroli: contrabbasso; Francesco Arcuri: sega, campioni, steel drum...; Vincenzo Vasi: theremin, vibrafoni...; Zeno De Rossi: batteria.
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