Buttarsi (via)
Porto Franco 2011, il Tenco e il volontariato culturale
Recensione
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Il Tenco ascolta alla Maison Musique, in occasione di Porto Franco, l’evento di fine estate che da tre anni ricorda Franco Lucà, storico animatore della struttura rivolese e del FolkClub di Torino. Ascolta nuovi cantautori selezionati dal direttivo: e che questa volta (non è sempre stato così in passate edizioni) sono tutti di buon livello. Con le solite pecche di buona parte dei giovani della canzone d’autore italiana: che spesso giovanissimi non sono, e che spesso originalissimi non sono: rimane sempre la segreta speranza che non siano ancora originalissimi. Ci sono Flavio Pirini, il “pupillo di Morgan” Fabio Cinti (che parrebbe pure un po’ il pupillo di Battiato), il tipico “cantautore stralunato” che mai manca Marco Sforza, Enrico Farnedi (con un passato da turnista di livello con la tromba, e ora in solo voce e ukulele), Ratafiamm, Les Sanspapier e Duemanosinistra. Si elevano dalla media i bolognesi Ratafiamm, con una canzone folk-rock una volta tanto non suonata in punta di dita né caciarona, e Duemanosinistra, moniker del torinese Orlando Manfredi qui in versione band post rock. La serata poi va avanti con Giorgio Conte (che è garanzia di belle canzoni e begli aneddoti, sempre gli stessi), Peppe Voltarelli, che continua a migliorare la qualità del suo live, anche in solo, e gran finale con bal folk a notte fonda
Giorgio Conte non è il solo a ripetere le sue conversazioni. Porto Franco è un appuntamento fisso: ogni anno piove, ci si incontra – più o meno – sempre la stessa gente, e si parla delle stesse cose. Arrivo, ci salutiamo calorosamente con Paolo (Lucà) e Davide (Valfrè), che da qualche anno hanno ereditato la gestione della struttura. Esauriti gli scambi sui rispettivi stati di salute, si passa allo stato di salute di FolkClub: che è sempre peggio, che non sono arrivati i finanziamenti, che fanno il programma con i soldi stanziati nel 2009, nel 2010… Ad un certo punto uno dei due – o entrambi – mi dicono: «Hai visto il programma?», e producono lo stampato (ho l’impressione che ogni anno la carta sia più sottile), e via così…
Maison Musique è una struttura unica in Italia, che oltre ad un bello spazio per concerti offre ai musicisti la possibilità di stare in residenza a preparare tour e dischi; inoltre ospita uno dei fondi di musica popolari più importanti in Italia. FolkClub è uno degli ultimi piccoli club in Italia ad intercettare nomi internazionali (di folk ma anche di jazz, di canzone d’autore…) con concerti spesso unici.
Sono realtà – esattamente al pari dell’ospite Club Tenco, anch’esso a rischio sparizione – che si permettono di sopravvivere grazie al prestigio, all’amicizia, alla qualità dei rapporti professionali e umani costruiti negli anni: il che, nella pratica, significa concerti “offerti” dai musicisti amici, o sconti sui cachet, o riduzioni di spesa, di stipendi, volontariato in molti casi... Perché la passione, amare il proprio lavoro, porta a fare di questi sforzi pur di farlo, tanto fra gli organizzatori quanto fra i musicisti.
È la strategia giusta? Il “sistema” (chiamiamolo così…) non sta producendo le risorse necessarie per molte eccellenze culturali in Italia, che pure continuano a vivere, fra occupazioni di teatri, spettacoli regalati, prestazioni volontarie, riduzioni di personale… L’immagine distorta che se ne potrebbe trarre è che tanto la cultura sopravviverà, oppure che prima i soldi si sprecavano: guarda! Gli hanno tagliato i fondi, eppure continuano a farli, i concerti. La grande vittoria del tanto lo fanno perché gli piace, mentalità capace da sola di affossare un intero sistema culturale, come se passione dovesse essere sinonimo di gratuità e volontariato, o come se la musica – suonata, scritta, organizzata - non fosse un lavoro.
Che immagine stiamo dando? Che siamo in grado di resistere senza soldi prima, senza lavoro poi? Che si è in grado di fare le nozze coi fichi secchi? O che sono gli ultimi balli, quindi tanto vale buttarsi (via)?
Giorgio Conte non è il solo a ripetere le sue conversazioni. Porto Franco è un appuntamento fisso: ogni anno piove, ci si incontra – più o meno – sempre la stessa gente, e si parla delle stesse cose. Arrivo, ci salutiamo calorosamente con Paolo (Lucà) e Davide (Valfrè), che da qualche anno hanno ereditato la gestione della struttura. Esauriti gli scambi sui rispettivi stati di salute, si passa allo stato di salute di FolkClub: che è sempre peggio, che non sono arrivati i finanziamenti, che fanno il programma con i soldi stanziati nel 2009, nel 2010… Ad un certo punto uno dei due – o entrambi – mi dicono: «Hai visto il programma?», e producono lo stampato (ho l’impressione che ogni anno la carta sia più sottile), e via così…
Maison Musique è una struttura unica in Italia, che oltre ad un bello spazio per concerti offre ai musicisti la possibilità di stare in residenza a preparare tour e dischi; inoltre ospita uno dei fondi di musica popolari più importanti in Italia. FolkClub è uno degli ultimi piccoli club in Italia ad intercettare nomi internazionali (di folk ma anche di jazz, di canzone d’autore…) con concerti spesso unici.
Sono realtà – esattamente al pari dell’ospite Club Tenco, anch’esso a rischio sparizione – che si permettono di sopravvivere grazie al prestigio, all’amicizia, alla qualità dei rapporti professionali e umani costruiti negli anni: il che, nella pratica, significa concerti “offerti” dai musicisti amici, o sconti sui cachet, o riduzioni di spesa, di stipendi, volontariato in molti casi... Perché la passione, amare il proprio lavoro, porta a fare di questi sforzi pur di farlo, tanto fra gli organizzatori quanto fra i musicisti.
È la strategia giusta? Il “sistema” (chiamiamolo così…) non sta producendo le risorse necessarie per molte eccellenze culturali in Italia, che pure continuano a vivere, fra occupazioni di teatri, spettacoli regalati, prestazioni volontarie, riduzioni di personale… L’immagine distorta che se ne potrebbe trarre è che tanto la cultura sopravviverà, oppure che prima i soldi si sprecavano: guarda! Gli hanno tagliato i fondi, eppure continuano a farli, i concerti. La grande vittoria del tanto lo fanno perché gli piace, mentalità capace da sola di affossare un intero sistema culturale, come se passione dovesse essere sinonimo di gratuità e volontariato, o come se la musica – suonata, scritta, organizzata - non fosse un lavoro.
Che immagine stiamo dando? Che siamo in grado di resistere senza soldi prima, senza lavoro poi? Che si è in grado di fare le nozze coi fichi secchi? O che sono gli ultimi balli, quindi tanto vale buttarsi (via)?
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