Beati gli umili
Alemu Aga al festival di musiche sacre di Fès
Recensione
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Da Mounir Bachir a Nusrat Fateh Ali Khan, da Soeur Marie Keyrouz all'Hilliard con Garbarek, da Montserrat Caballé a Miriam Makeba, dall'Ensemble Organum a Goran Bregovic, da Teresa Berganza a Youssou
N'Dour, da Jordi Savall a Ravi Shankar, e si potrebbe continuare con
Abbey Lincoln, Gilberto Gil, Enrico Macias, Salif Keita, Johnny Clegg,
Angelique Kidjo, Jessye Norman, Marcel Khalifé, Loreena McKennitt, David
Murray e Archie Shepp, Antonella Ruggiero e l'immancabile Noa: la lista
dei pezzi da Novanta che - fra orchestre arabo-andaluse, cori gregoriani,
bizantini, ortodossi, gospel e corsi, confraternite sufi e gnawa,
dervisci rotanti e chi più ne ha più ne metta - hanno onorato con la loro
partecipazione le varie edizioni di Musiques sacrées du monde è nutrita.
Ingrossata in questa edizione del festival di Fès da Maria Bethania, di nuovo da Youssou
N'Dour, e da Ben Harper. Ma fra paradisi, purgatori, limbi e anche inferi
(come l'orrido flamenco di Jesús Corbacho: che il nome di battesimo gli
abbia dato dei punti in più per essere incluso in cartellone?) in cui
introduce la programmazione di questa manifestazione nata nel '94 e
svoltasi ininterrottamente dal '96, a volte i momenti di vera beatitudine
arrivano con nomi meno altisonanti e produzioni più povere. Addirittura
francescana - e non solo per questo tra le più pertinenti rispetto
all'intestazione della rassegna - la proposta di Alemu Aga, il più
rinomato interprete del repertorio imperniato sulla baganna, lira
dai lunghi bracci in cui la tradizione etiopica vede la leggendaria arpa di Re David. La baganna è legata a doppio filo al cristianesimo
copto etiopico, e sostanzialmente non utilizzata in contesti profani: non
si tratta però di uno strumento impiegato in funzione liturgica (la
celebrazione della messa della chiesa copta etiopica prevede invece
tamburi, sistri e bastoni), ma per accompagnare e favorire la preghiera e
la meditazione. Le corde della baganna producono un caratteristico suono
grave e ronzante, spiccatamente ipnotico, e al canto è richiesto di non compromettere l'incanto dello strumento, e
di tenersi su un piano di minimalistica umiltà. Per la sua pressoché
esclusiva identificazione con la religiosità copta, la baganna ha patito
censura e persecuzione durante i quasi vent'anni di dittatura ateistica
del Derg, ma anche se con una quasi completa soluzione di continuità, la
sua pratica - sopravvissuta in maniera semiclandestina e marginale - ha
resistito. Proprio ad Alemu Aga, emerso una ventina d'anni fa dal buio
della dittatura di Menghistu, si deve il rilancio di questa tradizione,
poi arrivata alla ribalta internazionale attraverso l'aurea collana
Éthiopiques, che ad Aga dedicò uno dei suoi primi titoli. Così, Aga negli
ultimi anni lascia spesso il negozio di stoviglie e articoli per la casa
che gestisce nel quartiere di Mercato ad Addis Abeba per portare in giro
per il mondo il gioiello culturale di cui è custode. Le altissime pareti
coronate da una pregevole gronda lignea di
un salone di Dar Mokri, palazzo non troppo ben in arnese ma di grande
fascino in mezzo al dedalo di vicoli della Medina, hanno assicurato alla
musica di Alemu Aga una perfetta cornice di raccoglimento e di
suggestione. Ma, al di là dell'aura del luogo, era impressionante
verificare come anche per chi - come chi scrive - ha già avuto occasione
di apprezzarla più volta anche dal vivo, la musica di Aga mantenga intatto
il suo magnetismo: una benedizione.
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