Alla Monnaie delude la Gioconda di Olivier Py
Scene spettacolari ma fini a se stesse, buono il cast
Un grandioso quadro non riuscito, c’è il tocco del maestro, in questo caso di un bravo regista come Olivier Py, ma la nuova produzione della Gioconda di Amilcare Ponchielli alla Monnaie di Bruxelles è inutilmente trasgressiva e aggressiva, con tanti nudi e continui amplessi simulati, la maschera onnipresente che ricorda il Joker di Batman oscillante tra il ghigno e il sorriso fintamente innocente, Barnaba e Isèpo vestiti come squadristi fascisti e una Venezia che sembra più il tunnel di un infimo garage sotterraneo o un sotto ponte di periferia industriale, piuttosto che la città dalle eleganti sfumature decadenti. In un contesto da tinte forti eppure non mancano i tocchi poetici di grande effetto, come l’acqua che ricopre tutto il palcoscenico, a momenti riflessa pure sulle scene, ed il cui movimento causato dai danzatori è magnifica parte anch’essa delle coregrafie (peccato che dalle prime file della sala l’acqua bassa non si veda bene), oppure come l’immagine della nave di Enzo che brucia suggerita come una suggestiva pioggia di fiamme sul proscenio. Sono questi i momenti che il pubblico alla fine ritiene e commenta positivamente durante l’intervallo e alla fine della rappresentazione, quindi frammenti, non lo spettacolo nel suo complesso che lascia perplessi e delusi. Malgrado le voci siano tutte di buon livello, e non è poca cosa, considerando che è un’opera dove Ponchielli ha previsto ben sei protagonisti, tre donne e tre uomini, con tutti e sei i tipi principali di registri. Proprio per meglio sottolineare la differenze forse ci sarebbe voluto un soprano dalla voce già più matura e drammatica, sopratutto per la celebre aria del suicidio che chiude l’opera, del pur bravo soprano francese Béatrice Uria-Monzon al debutto nel ruolo. Quasi tutti, sia nel primo che nel secondo cast, affrontano le rispettive parti per la prima volta: così è per il baritono Franco Vassallo che canta con precisione, richiesta estensione in alto e buon piglio da cattivo la parte della spia senza scrupoli Barnaba; così è per il tenore Stefano La Colla, uno dei migliori in scena, innamorato appassionato e determinato, strappa-applausi nella romanza "Cielo e Mare”; debutto come magnifica Laura pure per il bravissimo mezzosoprano spagnolo Silvia Tro Santafé e per il melodioso mezzosoprano cinese Ning Liang a cui è affidata la parte, originariamente da contralto, della Cieca madre della Gioconda (e tra madre e figlia, tra un soprano che dovrebbe avere ancora più spessore e una contralto che in realtà è un mezzo ecco che viene a mancare un po’ di differenza); per la prima volta nel ruolo, e dandone buona prova, pure il basso Jean Teitgen come un Alvise Badoero il cui essere uno dei capi dell’inquisizione è tradotto nel fargli indossare una specie di corona di latta e grosse collane dorate come un boss rapper. I costumi, di Pierre-Andé Weitz oscillano tra bellezza (sopratutto quelli dei ballerini) e bruttezza (sopratutto dei solisti), e Weiz firma anche la macchina scenica geometricamente pesante, con pochi arredi a suggerire i diversi ambienti e modellini di grandi navi da crociera a richiamare il mestiere di capitano di Enzo, ma la pesante impalcatura scenica è resa più lieve dal sapiente uso delle luci di Bertrand Killy e da alcune delle riuscite invenzioni di cui si è detto. In un tale susseguirsi d’immagini, l’orchestra rischia di passare spesso in secondo piano facendo perdere un po’ il filo del minuzioso lavoro fatto dal maestro Paolo Carignani come dimostra la raffinata esecuzione della celeberrima Danza delle Ore. Un plauso infine al coro, anche quello dei bambini, e a tutti i bravissimi danzatori che ballano nell’acqua bassa.