All the way Torino
I R.E.M. al PalaOlimpico per un live elettrico ed emozionante
Recensione
pop
Ormai è assodato che la storia del rock procede per ciclici “ritorni alle origini”. Un luogo comune ideologico, è vero, ma perfettamente funzionante (non solo nelle speculazioni della critica rock), dove “origine” coincide, nelle intenzioni, con semplicità e ruvidezza e, nella pratica, con l’aumento delle chitarre distorte e della velocità delle canzoni. I R.E.M., a Torino dopo tredici anni, sembrano nel bel mezzo della loro “Get Back”: il recente “Accelerate” – programmatico già dal titolo - è un album di canzoni rock senza orpelli. Ora, dal momento che i ragazzi di Athens le cose migliori le hanno fatte con gli episodi meno elettrici della loro carriera, è lecito interrogarsi sull’opportunità di una mossa del genere. Dal vivo la scelta “giovanilista” funziona perfettamente; quei quattro-cinque giri armonici che i tre suonano a rotazione da anni non ci erano mai sembrati così belli. Ma “giovanilismo” non è mancanza di esperienza, e pescando da un repertorio sterminato i R.E.M. compongono una scaletta perfetta, mascherando i brani del nuovo album così bene che paiono vicini a un disco del periodo I.r.s., o all’elettricità un po’ cialtrona di “Monster”. Non si può chiedere di più a un concerto rock. Classici dispensati con equità (l’immancabile “Losing my religion”, “Man on the moon” dedicata a Paul Newman, lo strepitoso scioglilingua di “It’s the end of the world”), quasi-classici, estratti a sorpresa: “Driver 8”, “What’s the Frequency, Kenneth?”, “Walk Unafraid", “Ignoreland”, “Electrolite” fino alla cupa versione di “Orange Crush” in chiusura. Tra un Peter Buck che suona lo stesso arpeggio da 25 anni e un Mike Mills smanicato e saltellante, Michael Stipe si conferma uno dei più grandi frontman viventi. Ironico e intenso, generoso e carismatico, sospenderemo per sempre il giudizio sulla contemporanea e prossima produzione della band in sua ammirazione.
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