Il debutto di Colabianchi alla Fenice
Primo incontro con la stampa del neo-sovrintendente e direttore artistico del teatro lirico veneziano con qualche anticipazione sulla prossima stagione

Fresco di nomina alla sovrintendenza del Teatro La Fenice (il Ministro della Cultura ha firmato il decreto di nomina lo scorso 6 marzo), Nicola Colabianchi ha fatto il suo debutto ufficiale nel nuovo ruolo nel corso di un incontro alle Sale Apollinee del teatro lirico veneziano. Il neo-sovrintendente, che ricoprirà anche il ruolo di direttore artistico, si è detto molto soddisfatto dell’ambiente sereno e dell’accoglienza positiva che gli hanno riservato le maestranze del teatro incontrate negli scorsi giorni. Dalla precedente gestione, eredita un teatro in ottima salute caratterizzato da un’attività intensa e da incassi di biglietteria importanti. Come ha dettagliato il direttore generale Andrea Erri, traghettatore del teatro durante i tre mesi di vacatio seguiti alla partenza del precedente sovrintendente Fortunato Ortombina, al 20 marzo la biglietteria ha segnato un record di incassi di 5 milioni di euro fra biglietti venduti e prenotazioni, una cifra che normalmente si raggiunge intorno a giugno (e solo le quattro recite del Concerto di Capodanno hanno portato circa 800 mila euro nelle casse della Fenice). Proprio questi risultati eccezionali, secondo il neo-sovrintendente, spingono a restare sulla strada tracciata dalla precedente gestione, che, sempre a suo dire, dovrebbe diventare un modello da esportare anche ad altri teatri.
Sui programmi futuri, Colabianchi non rivela troppo anche se la prossima stagione lirica è largamente definita tranne in qualche dettaglio. Se una presentazione più completa è rinviata a un prossimo appuntamento, Colabianchi anticipa comunque il titolo inaugurale il prossimo novembre, che sarà La clemenza di Tito di Mozart con la direzione di Ivor Bolton, e annuncia un nuovo lavoro di Salvatore Sciarrino. Per il resto, la dichiarata intenzione è di recuperare un repertorio un tempo molto amato dal pubblico e oggi pressoché scomparso e cita ad esempio Adriana Lecouvreur di Cilea, di cui però non conferma la presenza nella prossima stagione. Sul Teatro Malibran, il secondo palcoscenico della Fondazione lirico-sinfonico veneziana, dichiara la volontà di farne il “primo teatro al mondo” consacrato alla grande opera barocca, che dia orgoglio a chi parteciperà alle sue produzioni immaginate con tutti i crismi di autenticità. Il Malibran non sarà, almeno nelle intenzioni, una succursale del Teatro La Fenice per quanto riguarda la programmazione.
Sulla musica contemporanea, mai troppo presente sui palcoscenici lirici del nostro Paese, Colabianchi rivendica la necessità di produrre nuovi lavori perché il teatro musicale continui a vivere, citando le oltre 23 mila opere prodotte in Italia nel corso dell’Ottocento come materia vitale che consente ancora oggi all’opera di esistere. Non annuncia un manifesto ma quasi quando afferma che “l’arte [e la musica] devono muoversi verso l’utenza e devono essere comprensibili, non per un pubblico di soli iniziati” e si dichiara contrario al “processo di cerebralizzazione” anche della musica. Se si vuole attirare il pubblico, che si rivolge soprattutto alla musica di consumo, occorre ridare spazio alle emozioni e, a questo proposito, cita la commissione a Cagliari di un’opera dedicata al popolare calciatore Gigi Riva o un suo lavoro sull’eroe dei fumetti Mandrake. E anticipa che nelle sue stagioni saranno sicuramente presenti lavori di Ermanno Wolf Ferrari, non esattamente un campione di modernità. Interessante, invece, l’idea di lanciare un concorso per selezionare nuovi lavori per la scena lirica, come avvenne, per La cavalleria rusticana di Pietro Mascagni e, parole sue, per La monacella della Fontana di Giuseppe Mulé premiata nel 1923 da una commissione composta da Cilea, Mascagni e Puccini. Ma anche su questo si vedrà cosa riserva il futuro.
Non si sbilancia troppo Colabianchi nemmeno sulla stagione sinfonica, se non dichiarare la volontà di puntare sul grande repertorio ma anche su compositori solitamente poco presenti nei programmi, come gli americani Bernstein, Copland e Barber, ma anche gli italiani Alfredo Casella, Lorenzo Perosi e Licinio Refice (di cui cita il lusinghiero giudizio di Arturo Toscanini secondo cui “Refice sarebbe il più grande operista del nostro tempo se non fosse per quella tonaca”). Fra i diversi nomi citati, fa anche quelli di Carl Nielsen e di Anton Bruckner, di cui si dichiara devoto, ma senza indicazioni più precise. Anche sulla figura del direttore musicale, figura assente da moltissimi anni nell’organigramma del teatro veneziano, non si va oltre una risposta interlocutoria.
Lasciata ormai alle spalle l’esperienza al Lirico di Cagliari, la nuova esperienza veneziana è una “sfida che mi emoziona e mi esalta”, dice Nicola Colabianchi, che si è detto pronto a raccogliere e ad affrontare con serenità.
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