Il ritorno "sgradito" di EELST
Ultima tappa del tour "Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo" di Elio e le Storie Tese
Ultima data di “Mi resta un solo dente e cerco di riavvitarlo”, il lungo tour, tutto sold out, che ha sancito (parole loro) il ritorno sgradito di Elio e le Storie Tese in giro per lo stivale, stavolta nei teatri, dopo il bagno di folla di quest'estate con il Concertozzo a Carpi.
Lo show è anche l’ultimo appuntamento della rassegna Leggera, organizzata da Arci Reggio Emilia, che ha ospitato Madame, PFM, Max Gazzè.
Come musica d’ambiente nell’attesa ci pare di cogliere sia Steely Dan che Beach Boys: le limpide armonie vocali, gli stacchi, le geometrie articolate e costruite con raffinata sapienza non a caso sono diventate nel tempo un marchio di fabbrica della band milanese. Che si presenta in grande forma, con un incipit stile messa e la voce fuori campo di Vittorio Cosma che riferisce di musica che non vuole dire niente, un po’ vuota nei significati: «Ascoltiamo i rapper che si fanno arrestare in diretta su Tik Tok, ma anche questa musica acquista significato, se la ascoltiamo nel Cristo».
«Ascoltiamo i rapper che si fanno arrestare in diretta su Tik Tok, ma anche questa musica acquista significato, se la ascoltiamo nel Cristo».
Poi parte un invito alla preghiera collettiva, citando varie voci italiane: Marco Mengoni, Miss Keta, Mr.Rain, Massimo Pericolo, Sfera, Baby Gang, Simba La Rue, Niko Pandetta e finalmente arrivano Elio e i suoi, che attaccano con “La Terra Dei Cachi”, a risentirlo un pezzo davvero molto fuori asse rispetto a Sanremo, dove pure arrivò secondo nel 1996.
I nostri hanno il prezioso dono di saper far ridere a crepapelle mentre suonano musica complessa ma non complicata, sempre fluida, densissima e profondamente, filosoficamente, leggera: una rarità, sicuramente un unicum in Italia. Sezione ritmica tirata a lucido (Faso e Christian Meyer sugli scudi), le due tastiere poliedriche e molto ben assortite (Cosma e Jantoman), Cesareo alla chitarra, come sempre calibrato e perfettamente funzionale (la sera del concerto si celebrano i suoi 40 anni con EELST) e l’ottima Paola Folli ai cori, oltre a naturalmente Stefano Belisari a voce e flauto traverso, grande frontman e ottimo musicista e l’immancabile Mangoni, performer senza paura.
Il live è un lungo excursus nella carriera degli Elii, da “Uomini col borsello” a “Il vitello dai piedi di balsa” (con la sua proverbiale coda salsa, nella seconda parte) fino a “Supergiovane”, introdotta da un talkin’ blues di Faso a voce e basso e come sempre semplicemente travolgente, in modo particolare nel finale che è tutto un fuoco d’artificio con petardi gospel sparati a mille all’ora.
C’è tempo per una versione davvero da brividi di “Brividi” di Mahmood e Blanco, con Mangoni in grande spolvero, poi per il singolo, che non appare su disco, “Valzer transgenico” (in studio ci sono Stefano Bollani alla fisarmonica e Mauro Negri al clarinetto), per la verità non troppo convincente.
Consumati intrattenitori, diversi membri della band si cimentano in numeri comici tra un pezzo e l’altro, tra favole, virtuosismi al charleston ad imitare il suono delle cozze, cardellini alcolizzati e molto altro, in un mondo abitato da una leggerezza che diremmo calviniana, salvifica in tempi così grigi. «I tedeschi quando sono depressi, cioè sempre, invadono la Polonia». “La follia della donna”, tra Renato Zero, Pink Floyd e politicamente scorretto (una cifra della poetica degli EELST), “Parco Sempione”, inno ambientalista e saggio di groove, “Jimmy Il Pedofilo”, zeppa di gag che a scriverle non rendono.
Poi è il turno anche di “Urna”, riarrangiata, come già nel Concertozzo, non più in chiave metal al fulmicotone, ma come un numero alla Toto: non mi aveva acceso allora, non lo fa nemmeno oggi, ma è molto apprezzabile la voglia di provare a interpretare i propri pezzi in altri modi.
Meritano una menzione i fondali scenografici, molto belli, (la regia dello spettacolo teatrale è di Giorgio Gallione), dove cogliamo riferimenti a Basquiat, Matticchio, Crumb. Nella capacità vorticosa di tenere un ritmo serrato senza mai cadere nel superfluo se non in qualche breve passaggio a vuoto (i pezzi liscio – peccato non abbiano suonato piuttosto "Litfiba tornate insieme”, “Christmas With The Yours”, bis con Graziano Romani, molto bravo nel seguire le orme di Joe Cocker, ma la canzone è debole) – al cronista il settetto ricorda da un lato il performer Antonio Rezza (scommettiamo che seguono il suo lavoro con interesse) e dall’altro Weather Report, per la padronanza assoluta agli strumenti, per musicalità, attitudine, eclettismo.
La chiusura, classica, è con “Tapparella”, da Eat The Phikis del 1996 con il coro “Forza Panino” in chiusura, omaggio al compianto Paolo Panigada, in arte Feiez, polistrumentista della band, scomparso 25 anni orsono.
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