Novara Jazz apre con i giovani
Per il primo weekend il progetto Young Shouts di Silvia Bolognesi, e O-Janà
Ricominciamo ad assaporare una parvenza di normalità e, ancora disorientati come Pollicino nell'archetipico bosco, a ritrovare briciole del mondo di prima: tra queste una delle cose di cui senz'altro abbiamo patito più fame nei mesi faticosi e cupi che forse ci stiamo finalmente lasciando alle spalle è stata la musica dal vivo.
– Leggi anche: Novara Jazz torna dal vivo
Saporito e ricco il piatto offerto dall'edizione con cui Novara Jazz diventa maggiorenne, spalmata quest'anno su due fine settimana lunghi, aperti dalla presentazione al pubblico della residenza, in collaborazione con il festival polacco JazzArt di Katowice, del duo Llovage (Olo Walicki al basso e Jacek Proscinski alla batteria, entrambi all'elettronica) assieme alle nostre O-Janà. Visibili emozione e gioia del ritorno alla vita, e quindi alla dimensione della condivisione col pubblico, nello sguardo e nelle parole della grande Silvia Bolognesi, che nella cornice di Villa Picchetti, a Cameri, nei dintorni del capoluogo, nel cortile della residenza signorile quattrocentesca, presenta alle 11.30 (più concerti al mattino, sempre!) Young Shouts, progetto selezionato nell'edizione 2020 di Nuova Generazione Jazz.
Il gruppo si era reso protagonista di un bel disco, nel 2019, pubblicato da Fonterossa (etichetta gestita dalla stessa Bolognesi con diverse ottime uscite in catalogo: tra le altre ricordiamo il solo di Pasquale Mirra, Due del contrabbassista e suo pupillo Amedeo Verniani e Somestring Else della BJ Jazz Gag del chitarrista Biagio Marino) e dedicato, come il concerto, alla figura leggendaria di Bessie Jones, definita da Alan Lomax, che la incontrò nella sua Georgia, la «madre coraggio della tradizione afroamericana».
Il quartetto, nato in seno ai corsi di Siena Jazz dove la leader è didatta, vede Attilio Sepe al sax alto, Emanuele Marsico a tromba e voce (molto convincenti le parti cantate) e Sergio Bolognesi alla batteria. Musicisti giovani(ssimi) e preparati, a cui forse difetta un poco di briglia sciolta, mentre la Bolognesi con la sua cavata lirica e potente macina groove e danza sul ritmo trascinante di queste composizioni call and response, basate su un repertorio a cappella e quindi non scritta.
Scovato questo tesoro, Silvia Bolognesi ha scritto alcuni temi attorno a queste songs sporche di terra fino ai gomiti ("Shoo Turkey"), coniugando felicemente inni con lo sguardo rivolto al cielo e composizioni grondanti negritudine eppure prive di qualsiasi intento didascalico.
Nella seconda parte del live si unisce al quartetto Sabir Mateen; alle orecchie del cronista l'apporto del tenorista (da tempo di stanza in Italia) invero non sposta l'equilibrio, da cui ci saremmo aspettati un pizzico in più di energia e un piglio magari un poco più anarchico, viste le ottime premesse racchiuse nel disco.
Citazione d'obbligo per l'omaggio a William Parker (autore quest'anno di una cornucopia di 10 cd, Migration of Silence Into and Out of the Tone World) con l'esecuzione della sua "O Neal's Porch".
Secondo appuntamento della domenica, sul far della sera, con il duo O-Janà. Il loro Inland Images, pubblicato nel 2018 dall'ottima Folderol Records (in catalogo tra gli altri Francesco Massaro ed Økapi), ci aveva a suo tempo fatto drizzare le orecchie: in perfetto e magnetico equilibrio tra mood da Grande Nord (la pianista Alessandra Bossa ha vissuto a lungo nella Lapponia svedese) e tuffi a occhi chiusi nell’oceano del suono, conservando però la capacità di scrivere pezzi espansi e accessibili (la vocalità multiforme di Ludovica Manzo trova qui campo aperto), in bilico tra tentazioni avant e afflato pop. Forte di collaborazioni di grande prestigio (Michele Rabbia ed Eivind Aarset), il disco inventava e inventa mondi, abitato da una libertà che sa del miglior jazz, denso di un fascino imprendibile, capace di stregare.
Proprio al profilo obliquo della strega si ispira il nome del duo (janara in dialetto campano), troncato poi in O-Janà. Nel cortile del Museo Etnografico di Oleggio le due musiciste presentano il loro ad oggi unico lavoro, tra scatole sonore con piezo, pianoforte elettrico, loop vocali, sottili lamine di elettronica glaciale e un afflato innodico che sa di canzoni per curare le ferite di un mondo disastrato. Rarefazioni, fibrillazioni, astrazioni, Björk rotta in mille specchi, antiche nenie di foklori lontani, le ossessioni tribal/ boreali di Wildbird & Peacedrums, la quiete commossa e intatta, come un carillon sopravvissuto a maremoti, di Susanna (avete mai ascoltato i suoi dischi di cover su Rune Grammofon?), Patty Waters dentro Blade Runner e un mood artico che esplode in vampate di calore ma a volte non riesce a superare la barriera della distanza.
"Quatuor Exquis" fiorisce sulla rielaborazione di frammenti di un quartetto scritto dal compositore, improvvisatore e violinista francese Règis Huby; poi ascoltiamo haiku siderali ispirati nel testo a favole giapponesi, raga boreali dove i suoni elettronici riportano all'epoca d'oro di Terry Riley, formiche digitali a brulicare nella terra fradicia di suono di una tardiva primavera nordica. Lampi di estasi a squarciare l'ansia del cielo che anche stavolta non ci è crollato addosso e l'ombra di Kate Bush ad annuire complice.
Prossimo fine settimana zeppo di appuntamenti tutti concentrati in città con, tra gli altri, i soli di Ernst Reijseger, Alexander Hawkins e John Edwards, e il live del nuovo ensemble European Galactic Orchestra.
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