Erik Friedlander, un bicchiere d'assenzio

il quartetto Throw a Glass del violoncellista Erik Friedlander (con Uri Caine, Mark Helias e Ches Smith) incanta Piacenza Jazz

Erik Friedlander - foto di Angelo Bardini
Recensione
jazz
Piacenza Jazz Fest, Galleria Alberoni
Erik Friedlander’s Throw a Glass
05 Aprile 2019

Ultimi fuochi d’artificio per la sedicesima edizione del Piacenza Jazz Fest: nella Sala degli Arazzi della Galleria Alberoni va in scena il quartetto Throw a Glass del violoncellista Erik Friedlander.

Si inizia con un loop gentile, tra una giga irlandese ed i giochi luminosi di Ernst Rejseger. Un groove lieve, una pronuncia nitida ed elegante per una lingua che abbonda in tematismi cantabili catturando l’attenzione e l’approvazione del pubblico: placidi mari modern jazz ("As They Are") dove si viaggia guidati in una navigazione sicura dal rassicurante timone di Mark Helias, al quale bastano appena un pugno di note per stabilire la rotta.

Bollani e Rubalcaba funamboli del pianoforte a Piacenza Jazz

Siamo sospinti da un vento amico, solo a tratti increspato da onde appena più vigorose, con qualche lampo espressionista nell’uso dell’archetto sul contrabbasso. Uri Caine al pianoforte è meno enciclopedico e vitalistico del solito, ma del resto in questo progetto il leader è Friedlander, che presenta, sfoggiando anche un buon italiano, le composizioni dell’unico disco del quartetto, Artemisia, dedicato ai misteri dell’ispirazione e all’assenzio, oltre ad alcuni inediti composti appositamente per questo tour.

John Surman, una sofisticata piacevolezza a Piacenza Jazz

Un concerto di grandissima classe, dove la maestria degli interpreti porta per mano gli ascoltatori in un viaggio languido e fuori dal tempo. Una strana e avvincente ipotesi nell’esatto punto di confluenza tra fuga e funk, con un groove tutto giocato in sottrazione: attese, agguati, un clima sorvegliato, dialoghi come segnali morse, saliscendi che portano in luoghi accoglienti per poi nuovamente esplorare stanze novecentesche ("Blush"). Composizioni di una bellezza a tratti enigmatica, distante eppure familiare; labirinti contemporanei alla fine dei quali non c’è nessun Minosse ad attenderci, semmai uno squarcio di luce, che si fa spazio tra ombre di Ligeti e Scelsi (l’inedito "Tulips Brush against my Legs").

Un andamento sincopato che ricorda anche le movenze imprendibili del lato acustico dei Masada di Zorn (con lui e con Dave Douglas Friedlander ha suonato sin dagli anni Ottanta), e poi "Artemisia", la title track, una magnifica elegia con l'ombra di un altro Erik, Satie, ad annuire sorniona sullo sfondo.

Dan Weiss Starebaby: heavy me(n)tal a Piacenza Jazz

Se alcuni inediti presentati suonano a tratti vagamente didascalici, quando il dettato si fa più avventuroso e mosso si viaggia ad altezze ragguardevoli ("The Fire in You"); Ches Smith, batterista monstre che abbiamo ammirato con gli Snakeoil di Tim Berne come con il quintetto di Mary Halvorson, suona rilassato e gentile, diffondendo a piene mani il suo magistero.

Una musica sobria, lirica, fuori dal tempo, che convince in particolare quando cerca gli spigoli più ruvidi, ma è sempre comunque nitida e perfettamente calibrata.

Erik Friedlander - foto di Angelo Bardini
Erik Friedlander (foto di Angelo Bardini)

In chiusura un bis con "Cello Again", una reinterpretazione di un pezzo di Oscar Pettiford, contrabbassista tra i pionieri del bebop che fu il primo a guidare una band nel jazz in veste di violoncellista già nel 1949. Da Bill Frisell a Dan Weiss Starebaby , dal duo Bollani-Rubalcaba al quartetto di Chris Potter, da John Surman a Richard Galliano, sino a questo quartetto, nato per sonorizzare una mostra al MOMA di New York su sei sculture di Pablo Picasso (sei bicchieri d’assenzio): l’appuntamento non può che essere al Piacenza Jazz Fest 2020.

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