A 15 anni dall’ultimo album in studio e dopo la prematura scomparsa del chitarrista Fausto Mesolella l'anno scorso, gli Avion Travel sono tornati con un disco, Privè. Lo stanno portando in tour in queste settimane (2 luglio a Parma all’Arena Shakespeare, e ancora il 20 a Roma alla Casa del Jazz, il 22 ad Anacapri e il 31 a Ceglie Messapica). Abbiamo approfittato dell’occasione per una chiacchierata telefonica con il cantante della band di Caserta, Peppe Servillo.
Incomincerei da un paio di frasi dalla canzone "Caro Maestro": "Cosa devo cantare, che non cantavano già? Cosa potrei raccontare delle immagine luminose e gigantesche della vita?”Cosa c’è ancora di cantabile, di raccontabile, oggi ?
«Un’ipotesi che si affaccia nel disco è la possibilità con la canzone popolare di cantare ancora se stessi e di farlo nonostante le imprecisioni che inevitabilmente comportano. Le canzoni infatti spesso sono lo strumento migliore che abbiamo, e intorno a esse ancora si può riunire un pubblico. Io a questo credo fortemente».
E il "caro Maestro" a cui ti rivolgi, chi è?
«Si tratta di un maestro metaforico. La linearità della sequenza maestro-alunno viene persa in molte occasioni, spesso poi ci sono maestri inconsapevoli, che ti insegnano senza avere l’intenzione di farlo. Sono stato insegnante alle scuole medie e superiori e mia moglie è una maestra elementare [come l’intervistatore, N.d.R.], so quanto sia importante e purtroppo negletto questo lavoro nel nostro paese. Gli incontri altri che si fanno sono importanti e la canzone è una richiesta di aiuto, il racconto della ricerca di un maestro, perché tutti ne abbiamo bisogno».
Nella cartella stampa scrivi: "Due figure animano il disco, una amara e una dolce, una che diffida delle parole e l’altra che vi si consegna". È curioso sentir dire da uno che scrive le parole che canta che a volte diffida di esse. Allora ha ragione Caproni quando scrive: "Le parole. Già, dissolvono l’oggetto".
«[Ride] Bellissima questa citazione che fai! Alle volte le parole sono imprecise. Non riescono a raccontarci quello di cui abbiamo bisogno, possono sottintendere anche un equivoco, un imbroglio, ma questo è quello che abbiamo, le parole sono lo strumento a cui ricorrere sempre, da non dimenticarsi mai. Il disco è un disco doppio, nella natura che esprime. Canzoni che sono ballate stanno vicine a brani disordinati, nel senso migliore del termine. Privé è un disco che narra un percorso che parte da luoghi un poco scuri e va poi verso la luce».
A tal proposito, una curiosità: Il film Dogman di Matteo Garrone è girato a Castelvolturno tra il Parco Saraceno e la darsena abbandonata del Villaggio Coppola, lo stesso scenario dove ha ambientato Gomorra e L’imbalsamatore. Voi venite da Caserta, che è lì vicino. Sono posti che paiono molti scuri, mentre nella vostre canzoni c’è sempre forte una tensione verso la luce, anche nel pieno del dramma. Il posto dove si nasce influisce sulla propria visione, sul proprio alfabeto, e come lo ha fatto, nel vostro caso?
«Non ho ancora avuto modo di vedere il film, ma sicuramente lo farò. Vivendo da 25 anni a Roma mi rapporto nella memoria al paesaggio da cui vengo; io cerco sempre di rapportarmi al paesaggio musicale e umano da cui vengo, e spesso gli Avion Travel hanno attinto da questi elementi nel loro lavoro. Fondamentali per noi sono l’universo della canzone napoletana e la lingua, a cui sono legati i ricordi».
Avete cominciato con gli Avion Travel e suonavate rock, ma io ho una curiosità più antica: qual è il tuo primo ricordo musicale?
«Mio padre che ascoltava i dischi di melodramma. Un mondo in cui la dimensione del teatro e della rappresentazione entrano prepotentemente».
Il vostro mondo musicale, pur appartendo a quello della canzone, è molto vasto: da Arto Lindsay a Modugno, dagli Aires Tango all’Orchestra di Piazza Vittorio, da Nada a Kurt Weill, dal rock psichedelico alla musica napoletana. Come si tiene tutto insieme, e che caratteristiche deve avere una canzone per essere una buona canzone?
«La seconda domanda che mi poni qui è molto, molto difficile, posso dirti però che noi ostinatamente cerchiamo sempre uno stile, una nota che ci distingua. Si potrebbero attribuire dei colori, alla nota peculiare che noi utilizziamo, come ad esempio ne "L’amore arancione", nel nostro ultimo disco».
Molte delle vostre canzoni sono canzoni d’amore. Come si fa a restare in equilibrio tra accessibilità e ricerca senza scadere nel didascalico, o come cantavate tempo fa, nella "solita minestra di calcoli e tempesta"? In altre parole, come si fa a vincere Sanremo con una bella canzone, come avete fatto voi? Bisogna ritirarsi in un Privé?
«Io so una cosa, la possibilità in questo disco di essere semplici e di fare sì che chi ascolta possa usare il proprio immaginario all’interno della canzone, lasciare spazi, silenzi: in una canzone ci si deve accomodare con l’orecchio».
Qual è il tuo rapporto con la letteratura, con la poesia?
«Franco Marcoaldi, che è un poeta, ha scritto con me il testo de "Il Cinghiale", nel nuovo disco. Credo nella poesia ancora come forma di comunicazione popolare. La canzone per me è un fatto poetico anche se ha naturalmente uno specifico diverso dalla poesia. Mi piacerebbe tanto poter sentire di nuovo, come mi accadeva in gioventù, i poeti recitare le loro cose sul palco».
E invece come ascoltatore? Compulsivo, distratto, onnivoro? Cosa stai ascoltando adesso?
«Ascolto molta musica classica dal vivo, soprattutto le orchestre. Stando a Roma vado spesso all’Accademia Nazionale di Santa Cecilia».
Chi non fosse riuscito a intercettarvi nel Retour, e vi aspetta da 15 anni, cosa si deve aspettare dai nuovi Avion Travel?
«Il momento dell’incontro col pubblico è per noi fondante della nostra esperienza artistica: abbiamo suonato a Milano, Napoli, al Teatro Romano di Fiesole, il 2 luglio saremo a Parma, il 20 luglio a Roma al Parco della Casa del Jazz. Eseguiremo in toto Privè e in più pescheremo nel repertorio del passato. Dopo tanti anni ancora sento il “friccicore” prima di salire sul palco, quel poco di incertezza che ti fa sentire vivo».
Tre dischi della vita?
«Songs in the Key of Life di Stevie Wonder, Frank Sinatra, un disco dal vivo, e poi qualcosa di Sting, con i Police e anche nel periodo immediatamente successivo. Ho pensato a tre voci perché le voci, con il valore dell’emozione e del timbro, sono ancora qualcosa di assolutamente importante per me».