Pericopes, il jazz italiano lontano dai soliti noti
Nuovo album per il duo Pericopes, composto da Emiliano Vernizzi al sax e Alessandro Sgobbio al pianoforte
Il suono di un risveglio: "La danse des holothuries", la pulsazione del pianoforte e le aperture del soprano, come viaggiare stando schiacciati contro il finestrino del treno e lasciarsi entrare dentro il paesaggio intorno, poi il mondo fuori mostra salite ripide e vertiginose discese, "Tzukiji", un mood ipnotico e trascinante che sa delle indimenticate pagine del Folk Songs di Garbarek-Haden-Gismonti.
Così si apre così What What, l’intenso disco del duo Pericopes, formato da Emiliano Vernizzi a sax soprano e tenore e da Alessando Sgobbio al pianoforte (nel capitolo precedente accompagnati dal batterista americano Nick Wight).
Rarefazioni minimaliste, lunghi piani sequenza, radure, panorami, spazi... in "Cocteau" invece Philip Glass e Bill Evans che si incontrano d’inverno a Parigi. In "Danza di Kuwa" le spirali ritmiche di Steve Reich, ad aprirsi poi in forme pensose e che indugiano all’ombra, al silenzio. Brevi frammenti anarchici, haiku dove vengono messi a terra semi elettronici destinati forse a fiorire in futuro ("What What") o melodici senza essere risaputi ("The Windmills Trail"), il 7/8 di "Orat 29" che ricorda certo diverse pagine del catalogo ECM, mostrando comunque una voce forte, riconoscibile e personale.
Un ottimo lavoro, questo dei Pericopes, poetico e raccolto, cantabile ma mai banale, sentito e denso eppure lieve, con un programma equamente diviso tra due musicisti dotati di una voce riconoscibile e di un talento luminoso, unito a un cuore pulsante che ne irrora di sangue prezioso ogni vena. Ulteriore dimostrazione (ma in realtà non ce n’era bisogno) che, oltre alla ristretta cerchia dei soliti noti, il jazz italiano vive e lotta assieme a noi.
I Pericopes sono in questo periodo nel bel mezzo di un lungo tour europeo, non perdeteli.