Proiettato in anteprima nazionale al festival SEEYOUSOUND di Torino (di cui vi abbiamo raccontato i 10 film da non perdere), The Public Image Is Rotten è un docufilm di Tabbert Filler che ripercorre le tappe della storia dei PIL, la seconda vita musicale di John Lydon dopo la breve ma incendiaria stagione con i Sex Pistols.
John Lydon è tornato da poco da un viaggio in Giamaica: uscito dai Sex Pistols, ha convinto Don Letts, DJ e regista di origini giamaicane e grande amico dei Clash, e la giornalista (nonché sua amica) Vivien Goldman ad accompagnarlo nell’isola caraibica per selezionare artisti reggae per conto dell’etichetta Virgin. Le voci cominciano a girare, incontrollate: Lydon sta mettendo in piedi un gruppo nuovo, sta lavorando a un album, sarà un disco di reggae.
13 ottobre 1978: cos’è 'sta roba? Partono le note del megabass di Jah Wobble, poi arriva la batteria di Jim Walker, John Lydon (ma per noi era ancora Johnny Rotten) ripete “Hello, hello, hello…” e poi accenna una risata proprio quando entra la chitarra di Keith Levene, uno che per un breve periodo aveva suonato coi Clash: “Non avete mai ascoltato una sola parola di ciò che ho detto, mi avete sempre e solo visto per gli abiti che indosso, o se il vostro interesse è stato più profondo era solo per il colore dei miei capelli”. Non lo sapevamo ancora, ma era nato il post-punk. Quel giro di basso avrebbe influenzato i Joy Division, i Fall e altre decine di gruppi. Il gruppo si chiama Public Image Ltd, ma tutti lo chiamano PIL e il logo, nel suo bianco e nero essenziale, è uno dei più iconici nella storia della musica (da qualche parte dovrei ancora avere la spilletta, che all’epoca ostentavo con quell’orgoglio misto a sfacciataggine che ti puoi permettere solo quando sei adolescente).
L’album che segue il singolo, in realtà, non è così dirompente: “Religion” e “Annalisa” sono belle canzoni ma la sensazione finale è quella dell’incompiutezza.The Public Image Is Rotten ricostruisce il periodo, informando lo spettatore dei problemi legali di Lydon con Malcom McLaren, il manager-padrone dei Sex Pistols (che arriva al punto di impedirgli di usare il nome Rotten, e sulla pochezza dei mezzi economici, insufficienti a produrre un disco migliore).
L’anno seguente è quello del botto: Jim Walker se n’è andato, e alla batteria si alternano David Humphrey, Richard Dudanski, lo stesso Levene e Martin Atkins, che l’anno seguente entrerà in pianta stabile nella band, e il gruppo decide di investire i pochi soldi a disposizione per una confezione assolutamente inedita per il nuovo lavoro. Metal Box è per l’appunto all’interno di una scatola metallica, spalmato su tre 12” (sul mercato statunitense esce come doppio album rinominato Second Edition). Il disco è fenomenale, uno dei migliori di quell’anno incredibile (per darvi un’idea del periodo, nello stesso anno escono Unknown Pleasure, London Calling, Setting Sons, Fear of Music, Drums and Wires, gli album d’esordio dei Cure e dei Fall, e potrei continuare). Ancora una volta avremmo capito negli anni seguenti l’influenza di questo suono sui gruppi a venire.
Nel film, Filler lascia spesso la parola ai protagonisti di quel periodo così intenso: loro non si tirano indietro e, quando è il caso, non se le mandano a dire. Vengono fuori particolari poco edificanti: l’allontanamento di Jah Wobble in seguito al furto di nastri già incisi per realizzare un suo album da solista, e a quello della cassa del gruppo; un secondo furto di nastri da parte di Levene per quello che sarebbe diventato l’album Commercial Zone; i problemi legati all’alcolismo e all’uso di droghe; la tossicodipendenza non più gestibile di Keith Levene, motivo del suo allontanamento prima di un tour in Giappone; le risse, i concerti interrotti o annullati.
Intervengono Moby, Flea dei Red Hot Chili Peppers (per qualche giorno sul punto di entrare a far parte della ciurma di Lydon) e Thurston Moore dei Sonic Youth, a sottolineare l’importanza dei PIL per la scena musicale di quegli anni. Compaiono il regista Julian Temple e il bassista Bill Laswell. Si vedono le immagini della casa a Finsbury Park, quelle del primo concerto a Bruxelles nel 1978, con Jah Wobble che suona il basso seduto in poltrona, il concerto a Londra nel giorno di Natale – cosa mai successa prima –, il famoso concerto newyorkese al Ritz suonato dietro lo schermo per le proiezioni dei film e distrutto dai fan inferociti, Lydon che redarguisce in malo modo gli spettatori che, punk fuori tempo massimo, lo ricoprono di sputi. E su tutti, ovviamente, troneggia lui, John Lydon (ma per noi era, è e sarà Johnny Rotten), con la sua ironia sarcastica, con la sua durezza, con la sua fragilità, con il suo amore per Nora, sua moglie e madre di Ari Up, la cantante delle Slits scomparsa nel 2010, e per le nipoti.
A mio modo di vedere l’ultimo grande album dei PIL è The Flowers Of Romance, uscito ormai 37 anni fa; nel frattempo il gruppo è formalmente ancora in piedi e dei membri originari rimane solo Lydon. Ogni tanto, quando servono soldi, succede che vadano in tour: a questo proposito, se stasera suonassero nella mia città, inutile dire che andrei di corsa a vederli.
«Nella vita bisogna darsi degli obiettivi per continuare ad andare avanti. Mio Dio, mi sa che sono diventato monarchico» (Johnny Rotten con un sogghigno, Johnny Rotten, quello di “God Save The Queen”)
The Public Image Is Rotten sarà proiettato nuovamente lunedì 29 gennaio alla ore 17.45, nella Sala 3 del Cinema Massimo.
Il giornale della musica è media partner di SEEYOUSOUND International Music Film Festival.