L'arte di esserci
Le canzoni di Eric Andersen al Folk Club di Torino
Recensione
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In un momento del suo concerto al Folk Club di Torino, Eric Andersen si ferma per schiarirsi la voce. Prende uno spruzzino di quelli per il mal di gola, che tiene ordinatamente appoggiato su uno sgabello insieme alle armoniche a bocca, e comincia a raccontare la storia assurda di come ha scoperto quel particolare prodotto – che dice essere incredibile. «Ero a Modena, e avevo questo fortissimo mal di gola, quando è arrivato un mio amico che canta e mi ha dato questo. Si chiama Luciano, Luciano... Pavarotti».
La storia è ovviamente paradossale, e totalmente inventata: lo stesso aneddoto riappare identico al successivo schiarimento di voce, con protagonisti Placido Domingo e Madrid. Eppure…
Chi si avvicina a Eric Andersen senza saperne la storia, troverà né più né meno che un buon cantautore americano. Il tipico cantautore americano, esattamente come ce lo si aspetta: bella voce con tanto di vibratino da folk revival, bei testi intimisti con incursioni letterarie (compreso un lungo ciclo di brani su Lord Byron), suono acustico pieno e profondo in fingerstyle, aneddoti gustosi sulla genesi delle canzoni. Un concerto da Folk Club, come se ne sono visti tanti negli anni, specie nelle Buscadero Nights organizzate con buon riscontro, da tempo, nella cantina di via Perrone. Questo la nuda recensione del concerto, con il violino di Michele Gazich e la chitarra elettrica di Marco Lamberti ad accompagnare una serata che scorre via piacevole.
Ma è difficile scindere quello che si ascolta da quello che si sa: ed ecco che è la vita del singer-songwriter a guadagnarsi il piccolo proscenio del Folk Club e ad occuparlo tutto. Eric Andersen non è entrato nel mito, non è stato canonizzato nei grandi del folk americano, in quel piccolo pantheon abitato da Bob Dylan, Phil Ochs, Dave van Ronk, Pete Seeger, il Kingston Trio, Johnny Cash, Peter Paul and Mary… Non è stato canonizzato ma c’era: magari un metro indietro, un mese dopo, un disco di ritardo, ma c’era. È passato attraverso la grande stagione del folk revival americano da protagonista, pubblicando con le etichette giuste, suonando nei locali giusti, e sentendo i suoi pezzi cantati da molti di quelli sopra citati, a partire dal più celebre, “Thirsty Boots”, che chiude inevitabilmente la serata torinese (leggete [a href="http://www.ericandersen.com/index.php/bio.html"]qui[/a] la sua incredibile biografia).
Ecco allora che si è quasi tentati di credere all’aneddoto di Pavarotti e Domingo. Andersen [i]c’era[/i] un’infinità di volte. Poteva essere lì anche quella volta, a Modena, quando Luciano...
Interpreti: Eric Andersen: chitarra e voce; Michele Gazich: violino; Marco Lamberti: chitarra elettrica.
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