Il jazz come virus e medicina
Alla Sapienza ""Il jazz visto dalla Luna", di Luigi Cinque
Recensione
jazz
L’Aula Magna dell’Università la Sapienza di Roma, sede abituale della stagione musicale della IUC, per una notte somiglia alla reggia degli Estensi. A introdurre "Il jazz visto dalla Luna", "opera-improvvisa in forma di cunto" è Luigi Cinque, un novello Ariosto che cita Alan Lomax. La musica prende il via dal suo sax, seguita dal violino di Alex Balanescu, poi dal pianoforte di Sal Bonafede e le tastiere di Patrizio Fariselli; ognuno espone alla propria maniera il motivo inizialmente esposto dal sax. Compare in scena Astolfo: è l’istrionico Mimmo Cuticchio a dar voce e ironia (irresistibile l’invito al cugino Orlando a lasciare perdere "i fimmine") ai versi dell’Orlando Furioso. È giunto sulla luna e vede le ampolle contenenti il senno degli uomini. È il fulcro del poema di Ariosto, vedere la Terra dall’esterno, da un’infinita distanza, fa emergere la follia umana. Così la Luna sanguinante sui maxischermi, colpita da un razzo sparato dalla Terra, è rappresentazione di quanti sono “feriti” solo perché "altri", perché lontani dalla propria "Terra". "Il jazz - spiega il compositore - è interdipendenza, è basato sulla collettività … Un virus che ha infettato la Terra, il cinema, la musica e la vita stessa". L’arte del Balanescu Quartet, le architetture musicali di Bonafede, Fariselli e Mirabassi, la creatività elettronica di Cinque, la vocalità di Cuticchio, gli omaggi a Kraftwerk ("Pocket Calculator" e "Model") e Pixinguinha ("Um a zero"), e si palesa al microscopio dell’orecchio degli ascoltatori il "cromosoma j". Il pubblico in sala, solitamente posato, è scosso da un fremito. Qualcuno va via, altri alzano le mani e le battono a tempo, qualcuno balla … Orlando è guarito, per la follia degli uomini ci vorrà ancora molto, ma un segnale già s’intravede.
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