Young d'oggi

A Barolo, per la chiusura di Collisioni, Neil Young & Crazy Horse

Recensione
pop
Collisioni Barolo
21 Luglio 2014
In un programma ricchissimo e quanto più possibile ecumenico (forse anche troppo per un festival che nasceva di letteratura e musica), il fiore all’occhiello era rappresentato dal concerto di Neil Young e i suoi Crazy Horse, in chiusura, lunedì sera. Considerazioni sul programma a parte, Collisioni ha, per un altro anno, vinto la sua scommessa: portare migliaia di persone in un paesino delle Langhe è una questione che va oltre la logistica, e sfiora il dominio della fisica, con tutti i problemi che ne derivano. Neil Young, dunque, era una degna chiusura di una bella edizione, come era stato – due anni fa – Bob Dylan: allora il tema era “il vento” (per il mezzo secolo di “Blowin’ in the Wind”), quest’anno il “raccolto” ([i]Harvest[/i], proprio in omaggio a Young). Dopo un’ora dall'inizio del concerto, Young “collega” idealmente le due edizioni proponendo, unici due pezzi chitarra e voce, proprio “Blowin’ In the Wind” (quasi immancabile nelle sue scalette recenti, chissà perché) e la sua “Heart Of Gold”. Prima, e dopo, solo distorsioni su distorsioni: da qualche anno a questa parte, ritrovato il piacere di suonare con i vecchi compagni, Young propone set di rock’n’roll senza tanti fronzoli, chitarre-basso-batteria, con giusto due coriste aggiunte e una certa propensione alle cavalcate vecchio stile e alla prolissità. Il concerto di Barolo non cambia la formula: alla fine, la scaletta conta una dozzina di pezzi dilatatissimi, con pochi classici, per la delusione di molto pubblico: addirittura tre brani da un disco non memorabile come [i]Ragged Glory[/i] (“Love and Only Love”, “Days That Used To Be” e “Love To Burn”, anno 1990), qualche novità (il divertissement “Psychedelic Pill”, l’inedito – e unico bis - “Who’s Gonna Stand Up and Save the Earth”), una bella “Living With War” («Un vecchio pezzo che continua a tornare...», dice Young in uno dei non molti interventi parlati), “Name of Love (dal repertorio con Crosby, Still e Nash: anno 1988), fino a “Cortez the Killer” e la chiusura, immancabile, con “Rockin’ In a Free World”. Un po’ pochino, a conti fatti, e l’amplificazione non adeguata non aiuta ad immergersi nel rugginoso flusso di rumore che è il marchio di fabbrica dei Crazy Horse, e l’unica modalità di ascolto concepibile per questo tipo di concerto. La critica, si badi, non riguarda la scelta della scaletta: Neil Young ha un canzoniere sterminato, ed è ovvio che peschi secondo l’estro del momento, con buona pace di chi invoca i classiconi. Piuttosto, questo tipo di concerto non rende merito al lavoro creativo di questi ultimi anni, non sempre all’altezza ma di sicuro non deprecabile (ascoltatevi, ad esempio, il sottovalutato [i]Le Noise[/i]): Young non è una macchietta dei suoi tempi che furono, ma un artista ancora capace di dire la sua. A Barolo non l’ha fatto più di tanto, sopraffatto forse – come spesso negli ultimi tempi - dalla voglia di suonare tanto e fortissimo, come una volta.

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