Mehldau nello spazio
Il nuovo progetto con Mark Guiliana, fra sintezzatori e psichedelia
Recensione
jazz
Se si chiudessero gli occhi ci si potrebbe quasi immaginare all'ascolto di una colonna sonora da film di fantascienza anni Sessanta, tutto sfondi di cartone, tutine argentate e candida utopia tecnocratica. Invece di fronte a noi sul palco si muovono con raffinato interplay i componenti del recente progetto "Mehliana", ovvero Brad Mehldau ai sintetizzatori (parte vintage parte comandati via tablet, come si conviene oggi) e Mark Guiliana alla batteria e laptop per esplorare il côté più elettronico delle rispettive sensibilità jazzistiche. Il primo riferimento ad essere richiamato alla memoria è (banalmente) l'Herbie Hancock del periodo Settanta (diciamo fra [i]Sextet[/i] e [i]Thrust[/i]) con le sue atmosfere funk vagamente psichedeliche. La differenza in questo caso la fa più Guiliana che Mehldau: la sua punteggiatura infatti si rifà a tutto il continuum sonoro della musica black che va dal jazz alla drum'n'bass, passando per il reggae e per rapidi accenni alla disco. Un'impalcatura impeccabile, ricca di inventiva nei [i]fill[/i], mai sopra le righe e che trova la giusta corrispondenza nelle linee di Mehldau, tentacolarmente diviso fra rotondi bass synth, atmosferici pads e una punteggiatura di Rhodes dal sapore quasi lounge. La costruzione dei brani presentati durante il set, arricchiti in alcuni punti dall'intervento di sample manipolati dal vivo da Guiliana (con l'immancabile voce d'astronauta a confermare la vena "Space is the place"), diceva di gente che si può permettere di spaziare fra epoche e stili mantenendo il discorso coeso e mai stucchevole. Una vera delizia tanto per musicofili enciclopedisti, quanto per leggeri frequentatori di cocktail parties.
Interpreti: Brad Mehldau, sintetizzatori; Mark Guiliana, batteria, laptop
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