Due pianoforti lontani
Andrea Allulli e Alvin Curran a Firenze per The Piano Hour Series
Recensione
jazz
Funziona bene l’idea di due piano solo nella stessa serata. Incontri ravvicinati che ti permettono di entrare nelle poetiche dei musicisti come nelle inesauribili possibilità espressive dello strumento. [i]The Piano Hour Series[/i] 2012 si apre con due contrasti forti, sul piano generazionale come su quello dei linguaggi. Andrea Allulli ha un approccio morbido e melodico. La sua è una musica descrittiva costruita su lunghi pedali appena sfiorati da venature ritmiche. Complessi grovigli accordali che qualche volta generano interessanti introspezioni ma troppo spesso rimangono in superficie, giocati su ripetizioni, arpeggi e arabeschi d’effetto, senza spessore. Cita a tratti standard jazz, qualche spruzzo blues. Chiude con una personalissima versione di "All the Things You Are". Il momento migliore.
Con Alvin Curran quello strumento così delicato e poetico fino a qualche minuto prima si mostra inquietante, spigoloso. Il musicista americano – protagonista della musica sperimentale dagli anni Sessanta - regala una vera performance. Ricca gestualità dal sapore nostalgico (aprire e chiudere il coperchio dello strumento), minimalismi, silenzi, reiterazioni che ricordano Glass, Cage, Reich. Suoni depurati da velleità virtuosistiche, andamenti contrappuntistici alla Satie. Sfiora appena i tasti che non finiscono il proprio percorso e offrono un suono stoppato. Provocatorio uso della voce (riferimenti a canti tibetani e arabi) che trasformano il set in una cerimonia. Figurazioni sonore ossessive che lasciano circolare vibrazioni nello spazio. Potrebbe diventare pericolosamente il festival del già sentito, ma Curran ha carisma, e riesce a dare alla performance una sua credibilità e unità. E la sensazione più bella è quella di non sapere mai dove ti porterà.
Note: Un progetto Musicus Concentus/Il Popolo del Blues
Interpreti: Andrea Allulli: pianoforte; Alvin Curran: pianoforte.
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