Ouverture etiope per il Locus Festival.
Mulatu Astatke a Locorotondo

Recensione
jazz
Tocca all’etiope Mulatu Astatke, grande vibrafonista e padre dell'Ethio-jazz, aprire l’ottava edizione del Locus Festival a Locorotondo, che ancora una volta fa brillare nella "città rotonda" suoni e colori in accordo con il suggestivo panorama notturno della Valle d'Itria.
Mulatu Astatke, oggi considerato il maggior rappresentante della cultura musicale etiope, è stato uno dei protagonisti di quella diaspora che negli anni Sessanta portò diversi musicisti africani – il connazionale Mahmoud Ahmed, il sudafricano Abdullah Ibrahim... - a lasciare i paesi natii, spesso messi in ginocchio dalle guerre civili e da sanguinose repressioni politiche, per formarsi in Europa e soprattutto negli Stati Uniti, dove Astatke è stato sotto la protezione di Ellington.
Il canto a frasi brevi e ripetitive, innestate sull'incastro poliritmico delle percussioni e su ostinato di basso, tipici dell’Ethio-jazz, producono un effetto straniante, inquietante ed esotico che per la prima parte del concerto lascia perplesso il pubblico del Locus. Ma poi gradualmente si giunge al completo abbandono alla danza sulle note della ben nota “Yekermo Sew”, che si ascolta anche nel film [i]Broken Flowers[/i] di Jim Jarmusch (2005). Pubblico in visibilio, e la band lo accontenta insistendo per tutta la seconda parte su ritmiche funk e sulla libera ed energica improvvisazione dei solisti, come nell’accattivante groove di “Netsanet”, nel quale c’è anche spazio per un Mulatu, in versione Hancock, al wurlitzer. Poco udibili invece gli assoli al vibrafono a causa della poca perizia dei nostri ingegneri del suono. Un’ouverture di sicuro tra le migliori nella storia del Locus Festival.
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