Rulli compressori contro il fango
I Sigur Rós (e Mark Lanegan) chiudono A Perfect Day a Villafranca di Verona
Recensione
pop
Fra gli appuntamenti di punta dell’estate italiana (forse, sulla carta, [i]l’appuntamento[/i]), A Perfect Day - fra le mura del castello scaligero di Villafranca di Verona – non si è fatto più di tanto condizionare dalla pioggia, caduta con abbondanza i primi due giorni sui concerti di Killers, Mogwai, Franz Ferdinand e altri ancora, e riducendo il parterre a una fanghiglia maleodorante nell’ultima serata, con sul palco dEUS, Mark Lanegan e Sigur Rós.
Chi c’era (molti: sold out il botteghino) non si è comunque lasciato rovinare la festa. Dopo i promettenti ALT-J, tocca ai belgi dEUS: una band drammaticamente lontana dalla qualità degli esordi e che, complice un ultimo album non esaltante e scelte di suono da dimentare – tanto sul palco quanto fuori – non convince e a tratti annoia.
Per fortuna ci pensa Mark Lanegan ad alzare il tiro: il materiale recente dell’ex Screaming Trees (il fresco [i]Funeral Blues[/i]: un titolo, un programma) è di qualità alta, e rende onore alla sua storia di grunge, stoner e bluesman, senza disdegnare una certa attualizzazione dei suoni ("Ode to Sad Disco"). Lanegan, piantato davanti al microfono, non parla quasi e non si muove ma rapisce il pubblico snocciolando una dopo l’altra le canzoni, senza pause, supportato da una band monolitica quanto lui. E da una voce che è pura presenza, aura da maledetto del rock: uno degli ultimi credibili.
L’attesa di buona parte del pubblico era naturalmente per il ritorno in Italia dei Sigur Rós. Per chi li segue da tempo, l’interrogativo maggiore riguardava la resa live dell’ultimo disco [i]Valtari[/i], splendido ma ancor più minimale e “neoclassico” dei precedenti. Il problema pare essere dribblato: la scaletta è infarcita di classici dagli album più amati del quartetto, [i]Ágætis byrjun[/i], [i]()[/i] e [i]Takk[/i] (rispettivamente, secondo, terzo e quarto in studio), le cui potenzialità epiche “da stadio” (virgolette d’obbligo: son pur sempre i Sigur Rós...) sono strizzate fino all’ultima goccia grazie ai rinforzi di una sezione d’archi e fiati, e ad un drumming energico che sui dischi viene – chissà come mai – messo sempre in secondo piano. Due ore di puro post rock sinfonico, pieno di crescendo al limite della pomposità, saturo negli arrangiamenti e nei generosi feedback di chitarra (al solito gestiti dall’archetto di un Jónsi in stato di grazia). L’impressione – nonostante gli islandesi tendano a celebrare più il vecchio repertorio – non è quella di un gruppo in declino che vince facile accontentando i fan, ma di una perfetta macchina da live, di incredibile qualità e - soprattutto - potenza di suono. Il che giustifica - finalmente - il misterioso titolo dell’ultimo disco, in italiano “rullo compressore”…
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