Piccola orchestra Bon Iver
Prima italiana a Ferrara per il cantautore americano
Recensione
pop
Presentarsi con un set-up del genere non è un gesto privo di significato. Può essere mancanza di fiducia nei propri mezzi, arroganza, magniloquenza: non è niente di tutto questo ma - al contrario - suona come una dichiarazione di intenti. Bon Iver arriva alla sua prima italiana a Ferrara sotto le stelle (dalla centrale piazza Castello il festival si è spostato nel meno pittoresco motovelodromo causa terremoto) e ne esce ulteriormente consacrato. Otto musicisti polistrumentisti (più il leader a chitarra e piano elettrico) magnificamente orchestrati affermano, in definitiva, che Bon Iver non è un fenomeno indie adottato dal circuito che conta ma un musicista e un autore di altissimo livello. Partito con un primo disco molto intimo e promosso grazie ad una retorica fra "Nebraska" di Springsteen e Thoreau, dal sapore vagamente costruito (lo sconosciuto cantautore dal cuore spezzato si chiude in un cottage nei boschi e incide il successo mondiale: non era esattamente così), Justin Vernon aveva già mostrato di aver classe confezionando un secondo album molto più ricco e complesso, tanto suonato e arrangiato quanto delicato e leggero. Quello dal vivo è il terzo stadio: tutto ciò che su cd affascinava in quanto sfocato e vago per scelta di produzione, in concerto diventa nitido e guadagna in "tiro". Le canzoni reggono il colpo e anche un pezzo intimo e acustico come "The Wolves (Act I and III)", proposta nei bis, può crescere fino al coro da stadio. La formazione si regge sui fiati (quattro strumentisti ruotano molti strumenti, ruolo chiave lo hanno il corno, cui sono affidati i ricami più melodici, e il sax baritono, che affianca il basso elettrico sulle basse frequenze). La pasta sonora rimanda ad una certa delicatezza nordica con - negli interludi e nei crescendo - momenti più free. Le due batterie si incastrano senza esagerare, così le chitarre (due o tre) e il violino: le tante possibilità non si tramutano mai in sfoggio di tecnica o sovraarrangiamento, o barocchismi di sorta. Ognuno sa stare al suo posto, e quando il leader decide di rimanere solo alla chitarra spogliando di nuovo le canzoni ("re: stacks") mostra di saper fare benissimo anche da solo. Al punto da potersi permettere - massima fiducia nei propri grandi mezzi - di non suonare "Flume", pezzo chiave del primo album. Uno dei migliori live act oggi in circolazione, senza dubbio alcuno.
Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche
pop
Ai Docks di Losanna la musica resistente dei veterani Godspeed You! Black Emperor
pop
Il cantautore friulano presenta in concerto l’album d’esordio Hrudja
pop
Un grande live al nuovo Jumeaux Jazz Club di Losanna (con il dubbio che a Bombino lo status di condottiero tuareg cominci a pesare)