Distanze apparenti
Louis Moholo-Moholo e Alexander Hawkins inaugurano Novara Jazz Winter
Recensione
jazz
Ma cosa hanno da dirsi un pianoforte ed una batteria? Lui, elegante e raffinato, frequentatore di salotti, fiero erede di secoli di tradizione classica. Lei, scomposta, rumorosa, sfrontata, abituata alle cantine e alle percosse. Tutto sta alla sensibilità degli interpreti, alla capacità di creare soluzioni efficaci per un organico poco frequentato.
È il caso di Louis Moholo-Moholo e Alexander Hawkins, che, freschi di studio di registrazione, hanno aperto la seconda edizione di Novara Jazz Winter tra gli entusiasmi del pubblico – purtroppo non foltissimo – accorso al Conservatorio Cantelli. Sudafricano, rifugiatosi in Inghilterra nel 1965 per sfuggire all'Apartheid, Moholo rappresenta oggi un esempio indiscutibile di rigore antiaccademico e fiorente fantasia, scevra da qualsiasi virtuosismo. Con la consueta predilezione per il rullante - usato spesso senza cordiera, come un comune tamburo - Moholo accenna marce, swing e ritmi tribali, ma subito li frammenta e li abbandona per spostarsi verso tessuti sonori ampi e ondulanti. Qui Hawkins, giovane stella della scena inglese, si muove con disinvoltura, sviluppando temi e figure motiviche con una liricità spesso in acceso contrasto con il partner. Ma la batteria insiste, istiga, spoglia il pianoforte delle sue convinzioni, scardina la superficie laccata e ne risveglia l'istinto primitivo. Così le dita di Hawkins si chiudono a cucchiaio e l'articolato fraseggio melodico lascia spazio ad un approccio percussivo. Ne scaturisce un dialogo rovente ed appassionato, sorretto da un interplay dinamico, giocato sull'alternanza di timbri e colori. Ed in questi territori pianoforte e batteria non sembrano poi così distanti
Interpreti: Louis Moholo-Moholo: batteria; Alexander Hawkins: pianoforte
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